Nuova tecnica per riconoscere gli ‘infarti silenti’
(AGI Salute) Washington, 22 apr. – Messa a punto una nuova tecnica di imaging che ha permesso di stimare la percentuale degli infarti del miocardio non riconosciuti. Sono infarti ‘silenti’ o Umi (dall’inglese ‘Unrecognized myocardial infarction’) che arrivano senza dare evidenti sintomi e per questo rappresentano un evento patologico molto insidioso. A realizzare la nuova tecnica e a fare una stima degli infarti ‘silenti e’ stato un gruppo di ricercatori della Duke University Medical Center in uno studio pubblicato sulla rivista Plos Medicine. Si e’ calcolato che negli Stati Uniti ci sono circa 200 mila soggetti che hanno avuto un infarto senza essersene accorti. In generale, il 35 per cento dei soggetti che soffrono di arteropatia coronarica hanno i ‘segni’ di un precedente infarto non diagnosticato. S Un infarto recente puo’ lasciare alcuni segni nel elettrocardiogramma (Ecg), ma se e’ trascorso un lasso di tempo piu’ ampio l’evento lascia un segno inequivocabile nella cosiddetta ‘onda Q’ del tracciato Ecg che segnala la presenza di un danno al tessuto cardiaco. “Il problema e’ che non tutti gli Umi – ha spiegato Han Kim, coordinatore dello studio – sono rintracciabili nell’onda Q: tale sottogruppo e’ percio’ denominato infarti del miocardio ‘non onda-Q’.
Tutti questi eventi non vengono riportati nelle statistiche semplicemente perche’ non vengono conteggiati”. Secondo i ricercatori, questa mancanza potrebbe essere colmata almeno in parte utilizzando la risonanza magnetica cardiovascolare a guadagno ritardato (‘delayed enhancement cardiovascular magnetic resonance, o DE-CMR’) che, essendo in grado di distinguere il tessuto danneggiato da quello sano, puo’ fornire una stima della frequenza con cui si verificano infarti ‘non onda-Q’. I ricercatori hanno utilizzato la tecnica ‘DE-CMR’ per esaminare 185 pazienti con sospetta arteropatia coronarica ma che non avevano ancora ricevuto alcuna diagnosi di infarto del miocardio ed erano in attesa di effettuare una angiografia per verificare l’eventuale presenza di un eccesso di placche nelle arterie. Si cosi’ trovato che il 35 per cento dei pazienti mostrava segni di infarto. Inoltre, gli attacchi cardiaci ‘non Q’ si sono dimostrati tre volte piu’ comuni di quelli ‘Q’ e piu’ probabili anche tra i pazienti con coronaropatie piu’ gravi. Per quanto riguarda i decessi, i ricercatori hanno osservato che gli Umi aumentavano di 11 volte il rischio di morte per ogni causa e di 17 volte quello per eventi cardiovascolari, rispetto al gruppo di controllo senza danni al tessuto cardiaco.