Addio embrioni: la chimica dalla parte del ricercatore per produrre staminali
Milano – (Adnkronos Salute) – Usare i segreti della chimica per ottenere staminali pluripotenti da una minuscola porzione di pelle. Con buona pace dell’embrione. E’ l’impresa in cui si è cimentato un gruppo di ricercatori dello Scripps Research Institute dell’università La Jolla (California), guidati da un giovane scienziato orientale: il chimico Sheng Ding, ospite oggi dell’università degli Studi di Milano per un incontro sul tema.
Gli esperti sono riusciti a far regredire alcune cellule della cute di topi allo stadio embrionale, iniettando nella cellula adulta quattro proteine e senza intervenire sul Dna. Una tecnica che, secondo la loro tesi, potrebbe essere più sicura di quella che sfrutta la manipolazione genetica. Le cellule ottenute intervenendo direttamente sui geni, infatti, hanno mostrato di essere potenzialmente pericolose, in quanto, a lungo andare, hanno generato dei tumori nei topi usati per gli esperimenti. Agire direttamente attraverso le proteine (e non attraverso i geni che le producono) dovrebbe permettere di aggirare questo rischio.
La tecnica è stata descritta in uno studio pubblicato di recente sulla rivista ‘Cell Stem Cell’. E oggi Sheng Ding – camicia rosa, zainetto e aria da studente – torna sull’attività del suo laboratorio. “Le recenti scoperte sulla biologia delle cellule staminali possono aiutarci ad arrivare a nuovi approcci per la cura di diverse malattie”, spiega nella sua relazione. “Per raggiungere questi obiettivi è fondamentale una migliore comprensione dei meccanismi che controllano il destino delle staminali, così come lo studio di metodi sempre più efficaci per manipolarle”, riflette.
E’ questa la strada che Ding e i suoi colleghi hanno seguito nel loro laboratorio in California: “La nostra ultima scoperta rappresenta un passo avanti verso il controllo delle cellule e dei meccanismi di ‘auto-rinnovamento’, sopravvivenza, differenziazione e riprogrammazione delle staminali pluripotenti”.
Al momento quella che si trovano davanti gli scienziati è, però, “solo una via promettente da esplorare. Le applicazioni cliniche sono di là da venire”, precisa Fulvio Gandolfi, responsabile del Laboratorio di embriologia biomedica di Unistem (centro di ricerche sulle staminali dell’università degli Studi di Milano). Certo è che se si confermassero i primi risultati ottenuti, prosegue, “la scoperta di Ding avrebbe un forte impatto, in quanto risolverebbe una serie ‘scottanti’ questioni etiche”. Prima di tutto, spiega l’esperto, “saremmo in grado di ottenere cellule pluripotenti senza passare dal via, cioè senza usare l’embrione”.
Basterebbe avere in mano una cellula adulta e farla tornare bambina con l’ausilio della chimica. Ma c’è anche un altro vantaggio: una cellula somatica qualunque, potendo regredire allo stato embrionale, può anche essere riprogrammata per replicarsi in qualsiasi altro tessuto umano, dal cuore ai nervi. “Pensate a un anziano appena colpito da infarto. Potremmo ottenere cellule cardiache grattandogli via un po’ di cute – osserva Gandolfi – senza essere costretti a prelevare alcun tessuto dal suo cuore già malandato. Stesso discorso per le cellule nervose, così difficili da raggiungere e soggette agli effetti dell’età”.