Isolate staminali del rene, nuova speranza per rigenerazione
Anche i reni hanno le loro cellule staminali. Cellule che, secondo le ipotesi degli esperti, potrebbero essere in grado di riparare i danni renali, se opportunamente guidate. I primi a identificarle sono stati i ricercatori dell’universita’ di Firenze, che sull’argomento hanno pubblicato di recente uno studio sul Journal of the American Society of Nephrology. E a illustrarne le potenzialita’, ieri a Milano, in occasione della presentazione del Congresso mondiale di nefrologia 2009, e’ stato Giuseppe Remuzzi, direttore della divisione di Nefrologia e dialisi degli ospedali riuniti di Bergamo.
“La verita’ sulle staminali – spiega l’esperto – e’ quella che ha ricordato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, quando ha annunciato l’abolizione del veto sull’uso di staminali embrionali in ricerche finanziate da fondi pubblici: sono promettenti, ma la strada e’ ancora lunga. Al momento queste cellule curano nella pratica pochissime malattie. Dobbiamo studiarle, paragonare i diversi tipi”.
Molti scienziati, prosegue Remuzzi, ci credono, anche se i risultati sono ancora pochi e perlopiu’ ottenuti in vitro. “Il sogno di tutti resta riparare gli organi con le staminali”. E per i reni ci sono buone speranze, aggiunge. “Nel senso che le staminali potrebbero essere responsabili di un processo di rigenerazione osservato negli animali trattati con farmaci del gruppo Ace-inibitori, medicinali che anche nell’uomo ritardano la progressione della malattia. L’ipotesi e’ che queste cellule abbiano una dote innata di riparare i danni e che, attraverso l’uso di farmaci, questa attivita’ possa essere indirizzata e sostenuta, ottenendo buoni risultati”.
Molti scienziati, prosegue Remuzzi, ci credono, anche se i risultati sono ancora pochi e perlopiu’ ottenuti in vitro. “Il sogno di tutti resta riparare gli organi con le staminali”. E per i reni ci sono buone speranze, aggiunge. “Nel senso che le staminali potrebbero essere responsabili di un processo di rigenerazione osservato negli animali trattati con farmaci del gruppo Ace-inibitori, medicinali che anche nell’uomo ritardano la progressione della malattia. L’ipotesi e’ che queste cellule abbiano una dote innata di riparare i danni e che, attraverso l’uso di farmaci, questa attivita’ possa essere indirizzata e sostenuta, ottenendo buoni risultati”.