Farmaci chiamati Parp-inibitori efficaci nelle forme più aggressive di tumore al seno.
ORLANDO – Sono la bestia nera degli oncologi, ma stanno per essere domati: parliamo dei tumori al seno «triplo-negativi», così chiamati perché non hanno i tre classici bersagli che possono essere colpiti dai farmaci. E cioè: i recettori per gli ormoni estrogeni e progestinici e il recettore Her 2 (quello contro cui sono diretti i nuovi farmaci intelligenti). Questa loro triplice resistenza li rende particolarmente difficili da controllare e l’unica soluzione di terapia sono i classici chemioterapici. Almeno finora. Ma una nuova categoria di composti, diversa da tutte le altre, e presentata con una serie di studi a Orlando in occasione del meeting annuale degli oncologi americani (Asco), sembra davvero promettente: si chiamano Parp-inibitori (la sigla Parp indica un enzima che ripara i danni del Dna).
L’EREDITARIETÀ – «Questi tumori – spiega Luca Gianni dell’Istituto Tumori di Milano – crescono rapidamente, sono aggressivi e non danno grandi speranze di sopravvivenza. Non sono frequentissimi, ma rappresentano pur sempre un quindici per cento di tutti i tumori alla mammella».
I tumori triplo-negativi comprendono anche una quota di forme familiari, quelle che si ereditano e che sono legate alla mutazione dei geni Brca1 e 2 (geni che interferiscono con la capacità di riparazione del Dna delle cellule tumorali). «Se le cellule del tumore – spiega Gianni – acquisiscono la capacità di “autoripararsi” diventano anche resistenti ai chemioterapici: questi ultimi, infatti, funzionano proprio perché danneggiano il Dna della cellula e ne provocano la morte». Una volta individuato l’enzima-chiave di questi processi riparativi, appunto il Parp, i ricercatori hanno potuto costruire farmaci diretti contro il nuovo bersaglio: i Parp-inibitori, capaci di bloccare l’enzima e, quindi, la crescita del tumore.
I RISULTATI – «I Parp inibitori – continua Gianni – funzionano se associati ai vecchi chemioterapici, come il cisplatino o la ciclofosfamide: bloccando i meccanismi di riparazione del Dna, danno il via libera all’azione tossica di questi ultimi». All’Asco sono stati presentati i risultati di due studi con questi nuovi farmaci (ce ne sono cinque o sei in sperimentazione) in diverse combinazioni. Il primo condotto dal Bayor-Charles A. Sammons Cancer Center di Dallas, il secondo dal Kings College di Londra. Entrambi hanno dimostrato una maggiore sopravvivenza nelle donne trattate con il farmaco rispetto a quelle in chemioterapia soltanto (sopravvivenza che gli oncologi hanno definito «rilevante da un punto di vista clinico»: in qualche caso ha superato i sei mesi) e una riduzione delle dimensioni del tumore.
CANCRO ALL’OVAIO – «I risultati – ha commentato Andrew Tutt del Kings College – sono incoraggianti, ma andranno verificati con altri studi su un numero più grande di pazienti». Un altro piccolissimo studio ha dimostrato che uno di questi farmaci, sempre appartenenti alla categoria dei Parp-inibitori, funziona anche in certe forme di cancro all’ovaio dove è presente un’alterazione dei geni Brca.
Adriana Bazzi – Corriere.it –