HIV: la riattivazione del virus latente, e la sua distruzione.
L’inibizione del processo di metilazione della citosina nel DNA delle cellule infette, associato allo stato di latenza, provoca la riattivazione del virus, che può così essere colpito dalle terapie
La metilazione della citosina nel DNA delle cellule infette è associato allo stato di latenza dell’Hiv, mentre l’inibizione di questa metilazione provoca la riattivazione del virus latente: lo hanno scoperto i ricercatori dei Gladstone Institutes of Virology and Immunology, in collaborazione con quelli del Karolinska Institutet di Stoccolma e dell’Università dello Utah, che illustrano il loro studio in un articolo pubblicato sulla rivista on line ad accesso pubblico “PLoS Pathogens“.
La possibilità di un cura radicale dell’Hiv è resa molto difficile dal fatto che il virus è in grado di “nascondersi” in forma latente in alcuni linfociti T CD4 a lunga vita. Per questa ragione diversi laboratori stanno studiando i meccanismi di latenza del virus per scoprire il modo in cui poterlo “riattivare” e rendere possibile la completa eradicazione del patogeno dall’organismo sfruttando le terapie antivirali.
“Se pure la latenza dell’Hiv-1 è verosimilmente un processo multifattoriale, abbiamo dimostrato che l’inibizione della metilazione del provirus contribuisce a una quasi completa riattivazione dell’Hiv-1 latente”, ha detto Steven E. Kauder, primo firmatario dell’articolo.
Oltre a scoprire che la metilazione del DNA è un meccanismo di latenza, i ricercatori hanno anche scoperto che una proteina, la MBD2 (methlyl-CpG binding domain protein 2), della cellula ospite si lega al DNA metilato dell’Hiv come mediatore dello stato di latenza.
“Se si interferisce con la metilazione, si potenzia notevolmente la riattivazione dell’Hiv”, osserva Kauder: nello studio infatti si è scoperto che la 5-aza-2′-deossicitidina (5-aza CdR) può inibire la metilazione dell’Hiv e causare la riattivazione del virus. “La ricerca fornisce importanti nuove conoscenze sul processo e apre nuove linee di studio”, ha commentato Eric Verdin, che ha diretto la ricerca.
(Le Scienze – L’espresso)