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Nuove speranze di cura per i “forzati dei lavori umidi” colpiti dall’eczema cronico delle mani: casalinghe, parrucchieri, cuochi, baristi, odontotecnici costretti ogni giorno a tenere a lungo le mani a contatto con acqua e sostanze chimiche irritanti.

Per loro è in arrivo un nuovo farmaco, alitretinoina, appena approvato dall’Ente Europeo di Valutazione dei Farmaci (EMEA) in grado di migliorare sensibilmente i sintomi in 3 casi su 4 e risolvere un caso su due: lo dimostra uno studio internazionale condotto su oltre 1000 pazienti, discusso dai massimi esperti italiani riuniti per l’84° congresso nazionale della Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST), a Firenze dal 10 al 13 giugno.

Nel nostro Paese l’eczema delle mani, che riguarda le donne in oltre il 60 per cento dei casi, è oggi tra le più diffuse patologie professionali con circa un milione di pazienti di età generalmente compresa fra 20 e 50 anni; la forma cronica dell’eczema colpisce circa 80.000 persone, di cui la metà è refrattaria alle cure standard a base di corticosteroidi.

L’eczema delle mani è provocato nella maggior parte dei casi da dermatiti da contatto dovute a fattori scatenanti molto comuni e diffusi quali, ad esempio, vernici, saponi e solventi: pertanto, eliminarli per prevenire i sintomi è praticamente impossibile e spesso la patologia diventa cronica, ovvero persiste oltre sei mesi. In questi casi i pazienti sono costretti a convivere con mani arrossate, che danno prurito, con la pelle coperta di vesciche e spaccature: nelle forme più gravi il problema diventa perciò doloroso e invalidante, anche perché le lesioni sono localizzate in una parte del corpo ben visibile, che rappresenta un importante strumento di comunicazione ed espressione.

“L’alitretinoina, un retinoide fisiologico derivato dalla vitamina A, viene oggi in aiuto a questi pazienti – ha spiegato Torello Lotti, presidente del Congresso e neoeletto presidente dell’International Society of Dermatology – Il farmaco, assunto per via orale una volta al giorno per tre-sei mesi, risolve infatti l’eczema grave delle mani in un paziente su due e riduce significativamente i sintomi del 75%. Si tratta del primo e unico medicinale approvato dall’EMEA per il trattamento degli adulti affetti da eczema cronico grave delle mani, che non risponde a trattamenti topici a lungo termine, inclusi potenti corticosteoroidi”.


I trattamenti finora disponibili per questi pazienti si sono rivelati inefficaci e spesso inappropriati. L’alitretinoina invece è stata approvata sulla base dei risultati di uno studio condotto presso 111 cliniche dermatologiche europee e nordamericane che ha coinvolto 1032 pazienti con una durata media di eczema cronico grave di circa 9 anni. I partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi a ricevere alitretinoina in due diverse dosi (30 o 10 milligrammi) o un placebo per 24 settimane, al termine delle quali si è valutata la presenza e l’entità delle lesioni sulle mani dei pazienti.


“Entrambe le dosi si sono rivelate efficaci nel ridurre i sintomi dell’eczema – ha messo in evidenza Alberto Giannetti, direttore della clinica Dermatologica del Policlinico Universitario di Modena – In un caso su due la malattia si è risolta o è quasi del tutto sparita, in due casi su tre il quadro passava da grave a moderato. Solo il 32% dei pazienti che hanno risposto al trattamento ha avuto una ricaduta tale da richiedere la ripresa della terapia durante il periodo di osservazione successivo all’intervento: questi pazienti sono stati nuovamente sottoposti a un ciclo di alitretinoina e nell’80% dei casi si è avuta la risoluzione completa o quasi completa della malattia”.

Il farmaco ha inoltre un profilo di sicurezza elevato: a differenza degli altri retinoidi non influenza il metabolismo della tiroide e non ha effetti sulle mucose e sulla cute: “L’effetto collaterale principale è la cefalea – ha aggiunto Lotti – Come gli altri retinoidi però anche alitretinoina è potenzialmente teratogena, per cui è controindicata per le donne in età fertile a meno che non si segua il programma di prevenzione della gravidanza, che prevede un test di gravidanza prima di iniziare la terapia e misure contraccettive un mese prima, durante e un mese dopo il trattamento”.


Già commercializzata in Regno Unito, Germania e Danimarca, l’alitretinoina è stata approvata in altri Paesi dell’Unione Europea attraverso una procedura decentralizzata; nel nostro Paese è in attesa della Autorizzazione dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

Meno parti cesarei in Italia, più attenzione alla salute riproduttiva nel terzo mondo: approvate al Senato le mozioni OMS di O.N.DA

Programmare aiuti internazionali per la salute riproduttiva nei Paesi in via di sviluppo e riportare i parti cesarei in Italia nella media europea: sono questi i punti cardine contenuti delle due mozioni – presentate lo scorso aprile all’OMS dall’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna – discusse e approvate all’unanimità ieri in tarda serata dal Senato della Repubblica. Un segnale anche politico importante due giorni dopo le elezioni europee.


Le due mozioni sono state presentate dalle senatrici Laura Bianconi (Membro della Commissione Sanità e vice presidente dei senatori del Pdl) e Rossana Boldi (Presidente della Commissione Politiche dell’Unione Europea, Lega Nord) ma erano 10 le parlamentari italiane di tutti gli schieramenti presenti al 1° Incontro Internazionale sulla salute riproduttiva, promosso a Ginevra proprio dall’Osservatorio O.N.Da in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità nella sede di Ginevra.

“Queste mozioni – spiega Francesca Merzagora – rappresentano la prima concreta risposta all’appello, proprio dell’OMS, per un maggiore impegno a favore della salute materno infantile e in particolare della salute riproduttiva. Migliorare la salute materna è infatti il quinto degli otto ‘Millenium Development Goals’ (MDG), e l’obiettivo è di ridurre il tasso di mortalità materna di tre quarti entro il 2015. Il quarto MDG è di ridurre il tasso de mortalità infantile di due terzi. L’approvazione di questi propositi anche in Italia ci consente un importante passo avanti in Europa. L’eccesso di parti cesarei e di medicalizzazione e la salute riproduttiva nei Paesi in via di sviluppo sembrano argomenti diversi, ma, in realtà, hanno un denominatore comune: la salute della donna, in Italia e nel mondo, e del suo bambino”.

“L’Italia – ha sottolineato il dr. Mario Merialdi, Dipartimento di Salute Riproduttiva dell’OMS – è stata fra le prime nazioni a rispondere al nostro appello con un’iniziativa concreta che coinvolge non solo tecnici ed esperti, ma anche Parlamentari e quindi il mondo politico. Grazie all’impegno di O.N.Da, siamo inoltre riusciti a coinvolgere Parlamentari del Governo e dell’opposizione, garantendo una necessaria continuità di azione in merito a questa tematica trasversale. L’unanimità di questo voto al Senato italiano lo dimostra.

Quest’anno – continua Merialdi – tocca proprio all’Italia ospitare il G8. E con in mano questo importante dato, avremo la forza per promuovere la salute materno infantile tra gli obiettivi chiave di questo incontro al vertice e richiedere impegni vincolanti da parte dei Governi”.

“Ogni anno – commenta la sen. Boldi – circa 530 mila donne e 3 milioni di neonati muoiono a causa di complicazioni legate alla gravidanza e al parto. Quasi tutti i decessi si verificano nei paesi in via di sviluppo e nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di morti evitabili. Dati scoraggianti, numeri che le Nazioni Unite e, appunto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità si sono impegnate a ridurre di tre quarti entro il 2015.

Fino ad oggi , nonostante le dichiarazioni ufficiali, troppo poco è stato fatto. La maggior parte dei paesi occidentali, infatti – ha mancato la propria promessa di aiuti internazionali. Compresa l’Italia, che ad oggi vanta un notevole ritardo negli stanziamenti a favore dello sviluppo, con percentuali ben inferiori allo 0,33% del Pil promesso. Eppure migliorare la salute materno infantile nei paesi in via di sviluppo è importantissimo per molti motivi. il primo è che aiutando i Paesi più poveri, contribuiamo a una maggiore stabilità mondiale, sotto il profilo sanitario, sociale e politico. Sta a noi muoverci nella giusta direzione. E l’approvazione di questa mozione anche in Italia è un primo importantissimo passo”.

Un primo passo parallelo a quello da compiere nel campo della regolamentazione del taglio cesareo in Italia, proposto dalla Sen. Bianconi. “Secondo un’indagine Istat – ricorda la senatrice – l’Italia risulta il primo paese in Europa per ricorso a questo tipo di intervento. Il fenomeno sembra riguardare in particolare il Sud Italia dove la media di interventi di taglio cesareo è del 45,2% (con picchi di oltre il 60% in Campania) mentre secondo l’OMS non dovrebbe superare il 20%.

Con questa mozione impegniamo il Parlamento nella promozione della salute materno infantile e in particolare la salute riproduttiva e una maggiore informazione delle donne”. Nel caso del taglio cesareo i dati evidenziano, infatti, come nelle regioni dove esiste una cultura dell’informazione sui rischi associati al taglio cesareo, l’incidenza di interventi è in linea con le raccomandazioni dell’OMS. “Una maggiore informazione – continua la sen Bianconi – spingerebbe sicuramente le future mamme a ponderare meglio la scelta tra parto naturale e parto cesareo. E questa mozione appena approvata parla chiaro. È necessario stendere nuove Linee Guida, diffondere strumenti di informazione sui rischi e benefici del taglio cesareo su tutto il territorio nazionale, e soprattutto stanziare fondi alle strutture regionali per favorire l’accesso all’epidurale”.

“I Parlamentari italiani – concorda la Drssa. Flavia Bustreo, Direttrice della Partnership per la Salute Materno Infantile – hanno veramente la possibilità di influenzare gli aiuti nella giusta direzione, infatti diversi Paesi lavorano già su questa linea, ed ora anche l’Italia. Nonostante il lavoro da fare, ci sono dati davvero incoraggianti: l’aiuto mondiale alla salute materno-infantile è passato da 2.119 milioni di dollari nel 2003 a 3.482 milioni nel 2006, che rappresenta un 3% dell’importo lordo totale degli aiuti nel 2006, e quindi la tendenza è positiva”

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