Tigem, ecco lo «spazzino» contro i veleni che provocano Alzheimer e Parkinson
Eccezionale scoperta dei ricercatori dell’Istituto Telethon di Napoli: i primi trial sull’uomo entro 3-5 anni
NAPOLI – Dagli scienziati del Tigem di Napoli un’eccezionale scoperta che apre la strada alla cura di malattie neurodegenerative come Alzheimer, Parkinson e Corea di Huntington. I ricercatori guidati da Andrea Ballabio hanno individuato il sistema che regola lo smaltimento dei rifiuti delle cellule. Una sorta di «spazzino» che, opportunamente stimolato, può eliminare molecole tossiche responsabili di gravi patologie neurodegenerative. Nel loro studio, pubblicato su «Science» e presentato a Roma dagli autori in videocollegamento da Napoli, i ricercatori dell’Istituto Telethon di genetica e medicina dimostrano per la prima volta al mondo che dietro il sistema di smaltimento dei rifiuti cellulari esiste una «cabina di regia». Questo pone le basi per nuovi approcci terapeutici, assicurano gli studiosi. «Grazie alla bioinformatica abbiamo identificato un nuovo meccanismo biologico, finora insospettato, che apre la strada a una terapia polivalente contro le malattie neurodegenerative. Il nostro lavoro va avanti – assicura da Napoli Ballabio, orgoglioso della ricerca e del team di giovani cervelli con cui ha lavorato – con risultati molto promettenti. E se tutto andrà bene i primi trial sull’uomo potranno iniziare fra 3-5 anni».
TERMOVALIZZATORE NEL CORPO – Lo smaltimento dei rifiuti cellulare avviene grazie ai lisosomi, organelli presenti in ogni cellula che lavorano «come termovalorizzatori – spiega con un sorriso il genetista – trasformando in sostanze innocue tutti i prodotti tossici del metabolismo». Per farlo sono dotati di una squadra di enzimi, ma basta che uno sia difettoso per scatenare una cinquantina di malattie da accumulo lisosomiale (come glicogenesi e mucopolisaccaridosi). Il team napoletano, in collaborazione con Elena Cattaneo dell’Università degli Studi di Milano e Roman Polishchuck del Consorzio Mario Negri Sud, ha scoperto che l’attività dei lisosomi è controllata da una fitta rete di geni, che risponde a un gene-interruttore (TFEB), una sorta di direttore d’orchestra o «super-spazzino». «È capace da solo di potenziare l’attività di smaltimento come, appunto, un interruttore», dice Marco Sardiello, giovane ricercatore di Taranto e primo autore del lavoro. «Aumentando i livelli del TFEB abbiamo visto che aumenta non solo la produzione di lisosomi nella cellula, ma anche la degradazione delle sostanze tossiche». Questa prova è stata fatta con cellule contenenti la proteina tossica responsabile della Corea di Huntington, una gravissima malattia di origine genetica per la quale ora non esiste cura. Ebbene, grazie al super-spazzino il gruppo di ricercatori ha visto che la proteina tossica veniva eliminata.
VELENI NELLE CELLULE – Questa scoperta – ottenuta grazie a un finanziamento Telethon da 100 mila euro – apre dunque le porte a un nuovo approccio che potrebbe essere applicato a tutte le malattie legate a un accumulo di «veleni» nella cellula, fra cui anche il morbo di Parkinson, l’Alzheimer e altre demenze. «Siamo già al lavoro su due fronti paralleli – precisa Ballabio – Da una parte la verifica di questi risultati anche nei modelli animali, in particolare topolini geneticamente modificati, dall’altra la ricerca su larga scala di farmaci in grado di stimolare l’attività di TFEB. La nostra speranza è che, promuovendo l’attività degradativa della cellula, si riesca ad evitare l’accumulo di sostanze tossiche e prevenire le malattie neurodegenerative con un approccio di tipo farmacologico, quindi non invasivo».
UN NUOVO CENTRO – I farmaci potrebbero essere già esistenti (e avere involontariamente proprio l’effetto necessario), o ancora da sintetizzare. Medicinali pensati per agire ai primi segni di una patologia «e bloccarne l’evoluzione. O anche – ipotizza il medico – destinati a prevenire la malattia nelle persone con una predisposizione genetica o una familiarità». Dopo gli studi in vitro, il team del Tigem punta a ricerche in vivo per esaminare l’effetto dell’interruttore genetico sui sintomi delle malattie neurodegenerative nel mirino, e verificare l’assenza di effetti collaterali. «La strada è ancora lunga, ma i dati che abbiamo in mano sono promettenti. Per passare dalla ricerca di base a quella traslazionale servono però strutture ad hoc. E a questo sarà dedicato il nuovo centro “Biology for Medicine”, che sorgerà a Napoli e per il quale attendiamo il finanziamento promesso di 60 milioni di euro dalla Regione Campania. Sembra che la disponibilità di fondi ci sia, e noi – conclude il genetista – siamo fiduciosi».