Artrosi: due sostanze presenti nel sangue considerate predittive

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interleukin 6

L’artrosi aumenta col passare degli anni, ma ci sono brillanti novantenni ancora sciolti nei movimenti. A fare la differenza, oltre agli stili di vita, può essere il tipo di risposta immunitaria che l’organismo mette in campo in reazione a stimoli aspecifici. Lo ha dimostrato un gruppo di ricercatori olandesi dell’Università di Leiden, che ha esaminato le condizioni in cui un’ottantina di persone hanno raggiunto la soglia dei novanta anni. Nel corso del lavoro, presentato al recente congresso EULAR 2009 a Copenaghen, i partecipanti sono stati sottoposti a radiografie delle mani, delle anche e delle ginocchia, per documentare lo stato delle articolazioni che più spesso vanno incontro ad artrosi. Poi è stato prelevato loro un campione di sangue, che in laboratorio è stato messo a contatto con una sostanza capace di suscitare una reazione infiammatoria aspecifica, cioè indifferenziata, non basata sulla produzione di anticorpi diretti contro determinati bersagli.

LO STUDIO – «Ognuno ha reagito a modo suo» spiega Margreet Kloppenburg, la reumatologa che ha coordinato il lavoro. «Alcuni hanno prodotto grandi quantità di due sostanze chiamate rispettivamente interleuchina 1β e interleuchina 6 e altri no: confrontando i risultati di questo esame con le immagini delle lastre abbiamo osservato che la probabilità di avere seri danni articolari in età avanzata andava di pari passo con il livello di queste sostanze che veniva evocato dallo stimolo». In pratica, coloro che ne producevano in minor quantità avevano un rischio inferiore rispettivamente di 11 e 7 volte di avere l’artrosi rispetto a coloro in cui la risposta era più vivace. Per altre sostanze che intervengono nei processi infiammatori alla base di molte malattie reumatiche, invece, non si sono osservate differenze nei due gruppi. Le ricadute L’importanza dello studio, che dopo la presentazione al congresso sarà pubblicato nel relativo supplemento sugli Annals of Rheumatic Diseases , è soprattutto ai fini della ricerca futura: scoprire i meccanismi con cui si sviluppa la malattia potrà aiutare a trovare il modo per combattere o prevenire una condizione che in Italia è alla base di più di un quarto delle pensioni di invalidità.

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