Epatite B e C: Uno studio del San Matteo apre la strada a nuovi scenari terapeutici
Un difetto funzionale delle cellule primitive è la prima causa della cronicizzazione dei virus dell’epatite B e C.
Uno studio della Fondazione San Matteo di Pavia apre la strada a nuovi scenari terapeutici.
E’ stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Gastroenterology , organo ufficiale della American Gastroenterological Association. lo studio coordinato dal prof. Mario Mondelli, del Laboratorio Sperimentale di Ricerca del Dipartimento di Malattie Infettive della Fondazione San Matteo di Pavia.
“Lo studio del nostro gruppo di ricerca – commenta il prof. Mondelli – si è concentrato sulle cellule dell’immunità innata denominate “natural killer” (uccisori naturali). Sono così denominate perché intervengono rapidamente per contrastare l’invasione dei virus patogeni con cui veniamo a contatto tutti i giorni, uccidendo le cellule del nostro organismo che hanno infettato. Nel nostro studio abbiamo dimostrato che esiste un difetto funzionale di queste cellule nelle epatiti virali croniche, che dimostrano una normale o addirittura incrementata capacità di “uccidere” cellule infette ma sono incapaci di produrre una sufficiente quantità di interferone gamma consentendo pertanto ai virus dell’epatite B e C di persistere indisturbati nel fegato dei pazienti che non sono in grado di eliminarli.”
I virus, infatti, vengono contrastati molto più efficacemente attraverso sostanze solubili come l’interferone gamma che ha la possibilità di agire su un ampio numero di cellule del fegato infette. L’attività di “killing” o uccisione è invece un rapporto diretto fra cellula natural killer e cellula bersaglio e pertanto consente di eliminare solo una cellula infetta alla volta, un processo quindi molto più lento e inefficiente.
La scoperta del gruppo del prof. Mondelli è estremamente importante e apre nuovi scenari terapeutici. La terapia antivirale delle epatiti croniche potrebbe infatti giovarsi del supplemento di immunostimolanti come l’interferone gamma e altre citochine “protettive” allo scopo di correggere il difetto da noi identificato e di eliminare così stabilmente i virus dal fegato.
Hanno collaborato allo studio anche le dottoresse Barbara Oliviero e Stefania Varchetta.