Infarto: diversa percezione del rischio – CNR Roma –
La donna ha un rischio di infarto nettamente inferiore a quello dell’uomo, almeno fino alla menopausa. In effetti, per tutta l’età fertile, la donna è protetta dall’infarto grazie all’ombrello estrogenico, cioè gli ormoni femminili e, se è vero che in Italia (dati ISTAT), le malattie cardiovascolari rappresentano il 48% delle morti femminili (percentuale che scende al 39% negli uomini), nelle donne tali decessi avvengono soprattutto dopo i 75 anni (mentre negli uomini un’alta incidenza si ha anche prima dei 75 anni).
Non a caso, i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ci suggeriscono che, ad eccezione di Tonga, in tutte le altre nazioni del mondo le donne presentano una aspettativa di vita maggiore degli uomini.
Queste premesse potrebbero portare molte donne a considerarsi specie protetta e, di conseguenza, sottostimare il proprio rischio e a pensare che la prevenzione cardiovascolare per loro non sia così importante. Per valutare questo aspetto, oltre che per identificare e trattare i soggetti con elevata probabilità di essere colpiti da un infarto nei successivi 10 anni, il Servizio Prevenzione e Protezione del CNR di Roma, in collaborazione con il Medical Service della FAO (Food and Agriculture Organization), ha effettuato uno studio, il Coronary Heart Disease Prevention Program, sulla prevalenza dei principali fattori di rischio cardiovascolare nella popolazione multietnica lavorativa delle sedi romane delle Nazioni Unite che si occupano della fame nel mondo (FAO, WFP, IFAD), sia maschile (dai 45 anni in su) che femminile (dai 50 anni in su o, se in menopausa, anche più giovani).
Lo studio ha permesso anche di valutare la percezione del rischio da parte dei soggetti in esame. Infatti, ai partecipanti veniva richiesto, prima di sottoporsi allo screening, di esprimere un giudizio sul proprio rischio nei successivi 10 anni, utilizzando una scala semiquantitativa (basso: <5% di rischio nei prossimi 10 anni; lieve: 5-9,9%; moderato: 10-19,9%; elevato: >=20%). Tale valutazione è stata successivamente confrontata con quella calcolata in base ai reali fattori di rischio presenti nei partecipanti allo studio, utilizzando il programma computerizzato di calcolo del rischio cardiovascolare basato sul Framingham Heart Study, lo studio epidemiologico più ampio e famoso al mondo.
Dalla ricerca, a cui hanno partecipato 632 lavoratori (359 uomini e 273 donne), è emerso, ancora una volta, un rischio medio di infarto nei successivi 10 anni maggiore negli uomini (11,1%) che nelle donne (5,5%). Più interessante è, invece, apparso il dato emerso dal confronto tra il rischio calcolato e il rischio percepito da parte dei partecipanti allo studio. Infatti, gli uomini valutavano abbastanza bene il proprio rischio, essendoci una chiara sovrapposizione tra rischio calcolato (che nel 46% dei casi era moderato- elevato) e rischio percepito (considerato moderato-elevato nel 45% dei casi). Nelle donne, invece, vi è stata una netta e significativa tendenza alla sovrastima, in forte contrasto con il risultato calcolato. Infatti, se ben il 93% delle donne presentava un rischio basso-lieve e solo il 7% presentava un rischio moderato (e nessuna elevato), ben il 43% di esse pensava di avere un rischio moderato-elevato. In sintonia con questi dati, nelle donne si è avuta anche una maggiore percentuale di adesione alla seconda parte del programma, il follow-up dedicato ai soggetti individuati come a rischio.
Da questi dati emerge che le donne in differenti contesti geografici e socio-culturali (e, quindi, non solo le donne-mamme italiane), appaiano forse più ansiose, ma sicuramente più attente al proprio stato di salute. Questa particolare attenzione, oltre ad essere uno degli aspetti che potrebbe concorrere a spiegare perché le donne vivono più a lungo degli uomini in quasi tutti i paesi del mondo, enfatizza il ruolo della donna che in famiglia, tradizionalmente, è custode della salute di tutti. E proteggere la propria salute è utile a continuare a proteggere quella dei propri familiari, con una positiva ricaduta sulla salute dell’intera popolazione.
Roberto Volpe
Servizio Prevenzione e Protezione del CNR di Roma