Cellule staminali in soccorso delle malattie renali

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“I reni contengono un compartimento di cellule staminali che può consentire la riparazione dei danni che eventualmente subiscono – ha affermato la professoressa Paola Romagnani, professore associato di nefrologia a Firenze, presentando al Congresso Nazionale di Nefrologia in corso in questi giorni a Bologna gli ultimi studi del Centro di eccellenza per la ricerca, il trasferimento e l’alta formazione per lo sviluppo di nuove terapie (DENOTHE) dell’Università degli Studi di Firenze. Secondo i dati presentati dalla ricerca, denominata Identificazione di un compartimento staminale nella Capsula di Bowman del rene adulto, le cellule staminali sarebbero in grado di rigenerare il rene.

“In alcuni casi, tuttavia – ha detto la studiosa – il funzionamento delle cellule staminali renali si inceppa impedendo la guarigione. Questo spiega perché talvolta le malattie renali guariscono, anche in assenza di terapia, mentre altre volte progrediscono e distruggono interamente i reni”.

La professoressa Paola Romagnani, alla quale il Consiglio Europeo delle Ricerche ha finanziato gli studi per i prossimi tre anni, considerando il suo uno dei 16 progetti d’eccellenza dei giovani ricercatori europei in campo medico su un totale di oltre 9000 domande in tutti i campi dello scibile, ricordando che le malattie renali sono una delle principali cause di mortalità e morbilità nei Paesi occidentali (si stima che colpiscano circa il 10 per cento della popolazione adulta), ha sottolineato nel corso dei lavori, come l’identificazione e la comprensione dei meccanismi che regolano il funzionamento delle cellule staminali renali apra enormi prospettive sia per indurre la riattivazione farmacologica delle capacità rigenerative del rene che per l’eventuale utilizzo di queste cellule nella terapia cellulare delle malattie renali.

“I nostri studi – ha aggiunto – stanno andando avanti, nel tentativo di carpire ogni segreto di queste cellule. Quando le conosceremo bene infatti potremo anche manipolarle per sfruttare al massimo la loro enorme capacità rigenerativa.

Una ricerca che infonde fiducia se si considera – ha concluso la studiosa fiorentina – che alcune delle malattie renali sono gravi e hanno un andamento inesorabile verso l’insufficienza renale terminale per la quale non vi sono cure se non la dialisi e il trapianto renale”.

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