Leucemia mieloide cronica: terapia in grado di bloccare la proteina scatenante

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E’ una proteina la responsabile della leucemia mieloide cronica e fino ad oggi la ricerca non era riuscita a bloccarla. Come è noto il cromosoma 22 filadelfia rappresenta il marker diagnostico specifico della malattia poiché produce tale proteina che la provoca. E se finora, con le terapie a disposizione il malato continuava a vivere (a dieci anni dall’avvento del Glivec si sono assicurate alte percentuali di sopravvivenza) oggi ci si è chiesto quale qualità di vita viene offerta ai pazienti per migliorare sempre più l’efficienza dell’assistenza medica.

Lo studio, promosso da AIL – Associazione Italiana contro le Leucemie, linfomi e mieloma insieme a GIMEMA Gruppo Italiano Malattie EMatologiche dell’Adulto, e sostenuto da Novartis, è il primo studio al mondo che valuta da questo punto di vista gli effetti a lungo termine della terapia con imatinib, il farmaco intelligente capace di vincere le eventuali resistenze ad altri farmaci ed in particolare al Glivec. Dai risultati della Ricerca, che si concluderà nel 2010, gli ematologi italiani si attendono delle evidenze scientifiche di assoluto rilievo internazionale.

“La leucemia mieloide cronica è stata la prima malattia per cui la scoperta della causa, cioè l’alterazione citogenetica, ha dato il via ad una serie di ricerche per vedere quali farmaci potessero agire bloccando l’attività della proteina – ha affermato Giorgio Lambertenghi Deliliers, Vice Presidente della Società Italiana di Ematologia (SIE) – Il frutto di queste ricerche è stato imatinib, il farmaco che ha cambiato la storia della malattia: pazienti che un tempo morivano nello spazio di 2-4 anni oggi hanno una sopravvivenza a 9 anni, con buona qualità di vita, nel 96% dei casi”.

In Italia ogni anno circa 1.000 persone ricevono una diagnosi di leucemia mieloide cronica, malattia la cui incidenza aumenta con l’età: il 65% dei pazienti ha più di 65 anni.

Nello studio AIL-GIMEMA sono coinvolti 27 centri ematologici afferenti al GIMEMA, distribuiti equamente tra Nord, Centro e Sud. L’obiettivo è valutare una serie di parametri legati alla percezione dello stato di salute in pazienti in trattamento con imatinib da almeno 3 anni (con risposta citogenetica completa) e che oggi, grazie a questa terapia, possono condurre una vita normale.

“È un segnale molto importante che, negli ultimi tempi, si valuti non solo la durata ma anche la qualità della vita del paziente – ha affermato questa mattina a Roma il professor Franco Mandelli, illustre ematologo e Presidente dell’AIL nel corso della presentazione di questo importante studio – Questo vuol dire che non ci accontentiamo più di far vivere più a lungo il paziente, se possibile di guarirlo, ma di valutare quanto costa in termini di qualità di vita al paziente ed ai familiari il suo percorso di cure”.


Fino ad ora la qualità di vita di questi pazienti non era mai stata “misurata” dal punto di vista scientifico. “Sappiamo che questi pazienti vivono di più, ma non sappiamo ‘come’ vivono: sono a tutt’oggi sconosciuti gli effetti sul paziente della cronicizzazione della malattia – ha affermato Fabio Efficace, Responsabile Studi sulla Qualità della Vita GIMEMA – Il nostro studio ci fornisce queste importanti informazioni, relative soprattutto alle aree della qualità di vita maggiormente inficiate dalla terapia: gli aspetti sociali, la sintomatologia, l’aderenza alla terapia, il livello di benessere psicologico e il supporto sociale”.

orso dell’incontro l’importanza di una corretta informazione che il medico deve dare al paziente nel corso della terapia al fine di prevenire tutti i suoi dubbi su eventuali effetti collaterali che questa può a volte provocare. I risultati preliminari dello studio hanno indicato che, sebbene la totalità dei medici pensi di avere adeguatamente informato i pazienti su gestione, dosaggio ed effetti della terapia, in molti “ammettono” di non aver fornito molte informazioni riguardo i possibili effetti della terapia sulla vita sociale e familiare del paziente. Per i pazienti che assumono imatinib da molto tempo, i tre sintomi ritenuti più rilevanti dai medici sono la stanchezza/affaticamento, i crampi muscolari e l’edema (problemi di gonfiore).


Solo in pochissimi dei pazienti trattati con imatinib si sono manifestati fenomeni di resistenza alla terapia. “I pazienti in trattamento con imatinib devono essere monitorati ogni 3 mesi, per vedere se compare una resistenza, se la malattia molecolare ricompare prima ancora dei sintomi – ha affermato Lambertenghi Deliliers – in questi casi è importante agire e trattarli con i nuovi inibitori della proteina tirosin chinasi, che hanno un’attività superiore ad imatinib. È oggi ormai una linea guida trattare i pazienti con nilotinib non appena ricompare la malattia”.


I risultato dello Studio AIL-GIMEMA potranno migliorare non solo la qualità di vita, ma la stessa efficacia della terapia. “Questo studio – ha concluso il professor Franco Mandelli – potrà avere un impatto notevolissimo: sulla base dei risultati, potremo indicare al medico in modo accurato quali sono gli aspetti da correggere nei pazienti in terapia con imatinib. E migliorando la qualità di vita, miglioreremo anche il successo della terapia perchè ormai sappiamo che la qualità di vita condiziona anche la sopravvivenza”.

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