Per le malattie coronariche prospettive di diagnosi e cura migliorate
Nei pazienti colpiti da infarto miocardico e sottoposti prima della procedura di angioplastica coronarica alla misurazione dell’indice FFR (Fractional Flow Reserve, ovvero la riserva di flusso frazionale), si registra una significativa riduzione pari al 34% del rischio di un nuovo grave attacco cardiaco e nei casi estremi anche di morte.
Grazie a tecnologie sempre più innovative disponibili oggi sul mercato, il cardiologo interventista ha la possibilità di misurare la composizione e la localizzazione della placca coronarica per poi poter determinare tempestivamente e con assoluta precisione il trattamento migliore a cui sottoporre il paziente.
E’ quanto presentato oggi a Milano nel corso di un incontro al quale hanno preso parte i professori Antonio Colombo – Primario dell’Unità di Emodinamica e Cardiologia Interventistica presso l’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano e Stefano De Servi – Direttore del Dipartimento Cardiovascolare presso l’Ospedale Civile di Legnano.
L’utilizzo aggiuntivo nelle procedure di emodinamica della misurazione della FFR grazie alla nuova tecnologia PressureWire messa a punto da St. Jude Medical è stato oggetto dello studio FAME (Fractional Flow Reserve (FFR) vs. Angiography in Multivessel Evaluation). Lo studio della durata di due anni, randomizzato, prospettico e multi-centrico è stato condotto negli Stati Uniti su 1.005 pazienti trattati per coronaropatia complessa. Nello studio sono stati messi a confronto, a distanza di 12 mesi dalla procedura interventistica di impianto di stent coronarico, i pazienti la cui procedura di angiografia era stata integrata con la misurazione della FFR con i pazienti sottoposti, invece, a sola procedura di angiografia.
I risultati dello studio a due anni hanno dimostrato una significativa riduzione, intorno al 34%, di eventi estremi e di infarto miocardico, rispettivamente un rischio che ad un anno dalla procedura si attesta intorno al 12.7% per il gruppo di pazienti trattato con sola angiografia e del 8.4% per il gruppo sottoposto a misurazione dell’FFR.
Potendo identificare con maggiore precisione le stenosi emodinamicamente significative grazie a informazioni chiave non ottenibili con semplice angiografia, si ha un esito migliore delle stesse procedure, ad esempio con una sensibile riduzione del liquido di contrasto utilizzato e il tutto senza andare ad aumentare minimamente la durata della procedura.
“Questo studio conferma come la tecnologia oggi disponibile non solo permetta una targettizzazzione delle procedure a seconda della condizione del singolo paziente, migliorando in modo significativo l’outcome, ma consente inoltre di ottimizzare le risorse, evitando una generalizzata applicazione di procedure su tutti i pazienti colpiti da infarto” ha dichiarato il prof. Antonio Colombo – Primario dell’Unità di Emodinamica e Cardiologia Interventistica presso l’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano.
Secondo quanto emerso dai risultati dello studio, infatti, dopo solo un anno, il trattamento con misurazione dell’indice FFR registrava anche un significativo risparmio in termini di costi per la struttura ospedaliera, con una differenza di circa 2.000$, pari al 14%, tra i costi totali di assistenza sanitaria sostenuti per il gruppo sottoposto a misurazione dell’indice di FFR e il gruppo trattato con sola angiografia. Un risparmio che è il risultato non solo di una riduzione dei costi della procedura in sé, ma anche di una riduzione dei costi legati al follow-up e di più brevi degenze ospedaliere.
Secondo i dati ufficiali del GISE, la Società Italiana di Cardiologia Invasiva che ha di recente chiuso i lavori del suo XXX congresso svoltosi a Bologna dal 20 al 23 ottobre, sono 131.295 le procedure di angioplastica eseguite in Italia nel 2008, di cui 119.278 con impianto di stent coronarico (medicato e non). “Di fronte a questi numeri – ha sottolineato il Prof. Stefano De Servi – Direttore del Dipartimento Cardiovascolare presso l’Ospedale Civile di Legnano – si evince l’ulteriore importanza dei risultati dello studio FAME. Una nuova tecnologia che rappresenta una rara opportunità in medicina, portando a un notevole miglioramento dei risultati clinici e quindi a una migliore qualità di vita del paziente e nello stesso tempo a un significativo risparmio in termini di risorse economico-sanitarie”.
La presentazione in anteprima mondiale dei risultati dello studio FAME è avvenuta lo scorso 23 settembre a San Francisco nell’ambito del TCT 2009, il congresso scientifico annuale della Cardiovascular Research Foundation e in precedenza erano stati pubblicati il 15 gennaio 2009 sul New England Journal of Medicine.
Le malattie legate al sistema cardiocircolatorio costituiscono la prima causa di morte in Italia con 224.577 decessi nel 2007, pari al 40% di tutti i decessi. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2005, i decessi per queste patologie sono stati ben 17,5 milioni destinati nel 2020 a raggiungere quota 20 milioni di decessi.
In Italia i costi totali delle patologie cardiovascolari secondo uno studio del British Heart Foundation, sono stati calcolati nel 2006 in circa 21,8 miliardi di Euro. Di questi, il 63% (pari a 13,8 miliardi di Euro) riguardano i costi diretti sostenuti dal sistema sanitario nazionale (assistenza sanitaria, farmaci, devices) mentre il restante 37% (pari ad 8 miliardi di Euro) è imputabile a costi indiretti della patologia quali la perdita di produttività dei pazienti in età lavorativa e costi di mortalità.