Sindrome cardiorenale: presentata una terapia innovativa
Una terapia innovativa per la cura della sindrome cardiorenale, pericolosa associazione di insufficienza renale e scompenso cardiaco, e’ stata presentata oggi a Roma, in occasione del 110.mo Congresso nazionale di medicina interna. Un appuntamento in corso fino al 27 ottobre, cui partecipano oltre millecinquecento medici internisti. La sindrome “riguarda un numero sempre crescente di pazienti per lo piu’ anziani – spiegano gli esperti della Societa’ italiana di medicina interna (Simi) in una nota – circa la meta’ dei cardiopatici e’ affetta da scompenso cardiaco e il 40% di questi presenta un’alterazione importante dei parametri di funzionalita’ renali”. “La novita’ della terapia proposta – dice Giuseppe Licata, presidente Simi e direttore dell’Istituto di clinica medica dell’Universita’ di Palermo – viene non dalla scoperta di particolari farmaci innovativi, ma dall’uso combinato di medicinali gia’ noti e quindi a basso costo, impiegati in dosi e tempistiche differenti dal passato.
Con questa cura siamo oggi in grado di ridurre il super-lavoro del cuore e di aumentare la portata di sangue ai reni, migliorando sia la funzione renale che quella cardiaca”. Fra gli aspetti piu’ importanti della gestione di questi pazienti c’e’ l’uso di strategie terapeutiche allo scopo di superare il progressivo e spesso rapido peggioramento della disfunzione renale. “Ed e’ proprio in questa fase che la nuova terapia intensiva garantisce ottime prospettive – continua Licata in una nota – date dalla combinazione complessiva dell’uso di furosemide (diuretico) a dosi elevate con piccoli volumi di soluzione salina ipertonica, degli antagonisti della vasopressina (vasodilatatori), degli antagonisti selettivi del recettore A2 per la adenosina e l’ultrafiltrazione”. Gli studi hanno dimostrato come sia soprattutto la somministrazione simultanea di elevate dosi di furosemide e soluzione salina ipertonica a risultare efficace, di basso costo e in grado di preservare ulteriormente la funzione renale fino a migliorare la sopravvivenza a quattro anni dalla cura del 52% dei pazienti.