Cambiamento climatico: a rischio le coltivazioni di grano duro. La pasta arriverebbe dall’estero
ROMA – I cambiamenti climatici potrebbero colpire il piatto made in Italy per eccellenza: la pasta. Secondo gli scienziati, infatti, l’Italia potrebbe essere costretta a importare gli ingredienti base per la pasta in quanto la crisi del clima renderà difficile la coltivazione del grano duro.
In un rapporto del servizio meteorologico britannico Met Office, che sarà presentato a Londra e anticipato su un sito australiano, gli scienziati prevedono che i rendimenti in Italia del grano duro inizieranno a diminuire a partire dal 2020 e che il raccolto sarà quasi scomparso dal Paese entro questo secolo. In particolare nella relazione si sottolinea che i “cambiamenti climatici in questa regione, in particolare l’ aumento della temperatura e delle precipitazioni in calo, potrebbe seriamente compromettere la resa del frumento”.
L’avvertimento è l’ultimo esempio degli impatti che i cambiamenti climatici potrebbero avere sugli stili di vita e sulla dieta in tutta Europa. A parlare di Mediterraneo e dei danni all’agricoltura del Mediterraneo a causa dei cambiamenti climatici, tra cui le coltivazioni di grano duro e quindi, anche la produzione di pasta, è il capitolo nove del rapporto di un progetto europeo durato 5 anni che ha coinvolto 66 centri di ricerca in 20 paesi in tutta Europa e guidato dal Met Office. Per l’Italia hanno partecipato l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), l’Arpa Emilia Romagna, il Cnr, l’università di Firenze e la Feem. La presentazione avverrà domani a Londra mentre dal 17 al 19 novembre a Exeter si svolgerà un convegno ad hoc. L’obiettivo era quello di analizzare la potenza dei vari supercomputer utilizzati per prevedere il clima da diversi gruppi di ricerca in tutta Europa. Questo permetterebbe ai ricercatori di generare proiezioni riguardanti il clima per i Paesi e le regioni. E uno degli obiettivi era proprio prevedere come l’aumento delle temperature e le variazioni delle precipitazioni potrebbero influenzare la produzione alimentare. L’Italia è stato scelto come caso di studio, sia perché è uno dei principali produttori alimentari sia per il fatto che è una nazione del Sud del Mediterraneo e quindi particolarmente vulnerabile agli aumenti di temperatura.