Gli italiani ‘bionici’: milioni di protesi

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– Anca, ginocchio, spalla: sono sempre di più gli italiani “bionici”, che utilizzano “pezzi di ricambio” per sostituire articolazioni non più al meglio e deteriorate dal tempo.

In Italia si sono rivolti al chirurgo oltre un milione di persone ed è in costante aumento l’uso di protesi articolari.

Lo rilevano gli esperti al 94° Congresso nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia in corso a Milano dal 7 all’11 novembre. I numeri parlano chiaro e danno il polso di un settore medico-chirurgico in fortissima crescita: sono oltre un milione gli italiani con un’articolazione sostituita, 180mila i nuovi impianti effettuati ogni anno, e l’Italia è ai primi posti in Europa per il numero di protesi d’anca impiantate con circa 100.000 impianti l’anno.

Tanto che il numero di interventi sull’anca cresce al ritmo del 5% annuo, con una spesa di un miliardo e trecento milioni di euro per operazioni e ricoveri, e costi che superano i 500 milioni di euro per la riabilitazione. Indicativo anche il fattore età. Grazie ai nuovi materiali, capaci di resistere all’usura, aumenta il numero degli interventi in persone giovani: ogni anno 20.000 protesi vengono impiantate in under-65 e 5000 in pazienti con meno di 50 anni.

Superano il milione i pazienti che hanno ricevuto una protesi articolare e sono 180mila ogni anno i nuovi impianti di protesi per anca, ginocchio, spalla o altre articolazioni, oltre la metà eseguiti in Lombardia e in Emilia Romagna anche a causa della mobilità sanitaria tra le Regioni. Nel 60% dei casi si tratta di protesi d’anca, ma crescono a ritmo vertiginoso anche le sostituzioni di ginocchio.

Nel mondo si impiantano un milione e mezzo di protesi d’anca ogni anno, di cui 300.000 negli Stati Uniti; l’Italia è fra i Paesi europei dove si effettua il maggior numero di sostituzioni d’anca. Su circa 700.000 interventi eseguiti ogni anno in Europa, infatti, oltre centomila riguardano il nostro Paese, che è superato soltanto da Germania (250.000) e Francia (130.000). Nel 65% dei casi la sostituzione dell’anca riguarda le donne, e la percentuale sale al 75% se l’impianto è successivo a una frattura da osteoporosi.

Il “successo” della chirurgia dell’anca dipende soprattutto dall’avvento di nuovi materiali, caratterizzati da un’usura estremamente inferiore rispetto al passato e con prestazioni ottimali a lungo nel tempo. «Le protesi del passato avevano una vita media di circa 15 anni per i pazienti anziani, 8 per i più giovani e attivi. – spiega Marco d’Imporzano, presidente del Congresso Nazionale SIOT e direttore del Dipartimento di Ortotraumatologia dell’Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano – I materiali che abbiamo a disposizione oggi possono in teoria arrivare facilmente a 30 anni o perfino oltre. Non esiste ancora la protesi ‘eternà, ma con i nuovi materiali è possibile allungarne la vita in modo impensabile fino a qualche anno fa».



Le nuove protesi stanno segnando anche una nuova tendenza: garantendo una durata maggiore vengono infatti impiegate sempre più spesso in soggetti giovani. «Non aspettiamo più che la persona sia anziana per intervenire, se la qualità di vita è già notevolmente compromessa – spiega d’Imporzano – e ormai non è raro intervenire su 30-40enni e ogni anno sono 20.000 le protesi che vengono impiantate in under 65. In questi casi si scelgono soprattutto le protesi in ceramica: materiali che hanno una bassissima usura e ridotto rischio di rottura». –

Le protesi del futuro, inoltre, saranno sempre più piccole: la tendenza attuale, infatti, è ridurre al minimo l’asportazione di osso, così da facilitare eventuali futuri reinterventi. Per il momento, le mini-protesi sono utilizzabili solo in un paziente su tre. Quando è consentito però, affermano gli esperti, si sceglie sempre di impiantare protesi più piccole eliminando una minima quota di osso. E laddove non sia fattibile, si tenta comunque la strada della chirurgia conservativa che risparmia i tessuti molli. L’Italia è in prima linea in questo campo: l’obiettivo è rispettare i tessuti molli attorno all’articolazione così da minimizzare i tempi di recupero.

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