Il grembo materno: non solo per diagnosi del nascituro, ma anche risorsa inesauribile di cure

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l'inizio meraviglioso della vita

Sembra quasi una favola che inizia come finisce e viceversa, ma il feto vive per nove mesi lì dove sono presenti anche le potenziali risposte e risorse a tutti i disturbi di salute che si presentano durante la gestazione ma anche dopo.

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Scienziati italiani hanno scoperto nel grembo materno una riserva preziosissima di cellule staminali che possono essere prelevate semplicemente con un esame di routine di diagnosi prenatale, la villocentesi. Con queste staminali si possono creare cellule di tutti i tipi e potrebbero essere usate per generare organi e tessuti su misura di paziente o per curare feti malati prima che nascano. Coordinato da Giuseppe Novelli, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Tor Vergata di Roma, il lavoro è stato ideato da Federica Sangiuolo, dello stesso ateneo, e svolto in collaborazione, tra gli altri, con l’embriologo Massimo De Felici. Sarà pubblicato la prossima settimana sulla rivista Cloning and Stem Cells.

Le cellule scoperte, facilmente prelevabili dai villi coriali quando la gestante si sottopone alla villocentesi nella 10/a-11/a settimana di gravidanza, sono una fonte terapeutica preziosa, spiega Novelli, perché non solo sono staminali multipotenti che si possono trasformare in qualunque tessuto del corpo, ma al contrario di quelle embrionali sono ‘etiche’ e non danno tumori né rischio rigetto; infine possono essere corrette geneticamente e un giorno potrebbero essere usate per fare terapia genica in utero e curare il feto malato prima che sia troppo tardi.


La villocentesi è una tecnica ormai consolidata di diagnosi prenatale che consente di prelevare un tessuto, i villi coriali (o trofoblasto) che si forma nelle prime settimane di gravidanza ed è coinvolto nell’impianto fetale, nell’adattamento immunologico della madre al feto, nella connessione vascolare con la circolazione materna, nella nutrizione del feto stesso. Gli scienziati italiani da tempo, studiando il trofoblasto da lunghi anni, sospettavano che al suo interno potesse nascondersi una fonte preziosa di staminali pluripotenti. Le hanno scoperte per la prima volta nei feti di alcune donne e battezzate Human Cytotrophoblastic-derived Multipotent Cells (hCTMC), cellule umane multipotenti derivate dal trofoblasto.

Gli scienziati hanno eseguito tutti i test standard per dimostrare che queste staminali sono pluripotenti, cioé possono dare origine a cellule di tutti i tessuti, cellule nervose, muscolari e pancreatiche per esempio. Inoltre queste cellule, inoculate in embrioni di topo, si sono dimostrate capaci di incorporarsi in essi e formare tutti i tessuti come il cervello, il midollo osseo, e il fegato.

Infine gli scienziati hanno anche dimostrato che queste cellule potrebbero essere usate per terapie cellulari e genetiche in utero: “infatti le abbiamo prese da donne con feti affetti da Atrofia Muscolare Spinale – spiega Novelli – e abbiamo corretto il loro difetto genetico con la terapia genica”. In futuro queste cellule, una volta corrette, potrebbero essere reimpiantate nel feto per curare il suo difetto. “Inoltre – conclude Novelli – poiché facilmente prelevabili e conservabili, un giorno si potrebbe pensare a banche ‘prenatali’ in modo che ciascuno conservi le sue per future necessità come si fa oggi col cordone ombelicale”, infatti potrebbero essere usate per rigenerare organi e tessuti su misura di paziente.


Ansa.it

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