Malattie cardiache: calcificazione arterie e concentrazione di fosforo nel sangue
Alti livelli di fosforo nel sangue sarebbero un indicatore chiave per il rischio di malattie cardiache a seguito della calcificazione delle arterie coronariche secondo un nuovo studio del Providence Medical Research Center di Spokane (Washington, Usa).
I ricercatori guidati dalla dr.ssa Katherine R. Tuttle pensano si aver trovato il legame tra un aumento del rischio cardiovascolare che altrimenti non si spiegherebbe. In particolare anche perché questo avvenga nelle prime fasi della malattia renale cronica (CKD), poiché le persone con una ridotta funzionalità renale presentano anche una calcificazione delle arterie coronariche.
Già precedenti studi hanno collegato la calcificazione delle arterie coronariche quale segno precoce di aterosclerosi – ovvero l’indurimento delle arterie – e l’aumento del rischio d’infarto e altri eventi cardiovascolari.
Basandosi su questi dati, nello studio sono stati coinvolti quasi 9.000 adulti sani a cui è stata esaminata la relazione tra i livelli di fosforo e la calcificazione dell’arteria coronarica.
Dagli esami del sangue si è scoperto che fin dall’inizio dello studio il 28% dei partecipanti presentava una calcificazione delle arterie (CAC) che è via via aumentata durante il periodo di studio (follow-up). Dopo sei anni, un altro 33% aveva sviluppato la CAC.
Le analisi hanno così potuto mostrare che il rapporto tra i livelli di fosforo e la CAC rimaneva clinicamente significativo anche dopo essere intervenuti su altri fattori. Cosicché anche piccoli aumenti della concentrazione di fosforo andavano a incidere sul rischio di sviluppare la calcificazione delle arterie coronariche.
In definitiva, il collegamento tra l’aumento di fosforo nel sangue e la CAC è stato paragonabile ad altri noti fattori di rischio per le malattie cardiache come alti livelli di colesterolo “cattivo” e la pressione alta.
«Ora saranno necessarie altre ricerche per verificare se i trattamenti per abbassare i livelli di fosforo possono ridurre il rischio di malattie cardiache nei soggetti con insufficienza renale cronica in fase iniziale, o anche quelli senza insufficienza renale cronica che però presentano una CAC» ha commentato la dr.ssa Tuttle.