Sindrome di Down: terapie farmacologiche da valutare

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Uno studio sperimentale condotto su un modello animale della sindrome di Down suggerisce per la prima volta che vi sia la possibilità – in prospettiva – di alleviare per via farmacologica alcune manifestazioni del deficit mentale legato alla malattia.

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Nello studio (“Restoration of Norepinephrine-Modulated Contextual Memory in a Mouse Model of Down Syndrome”), condotto presso la Stanford University School of Medicine e il Lucile Packard Children’s Hospital e pubblicato sulla rivista “Science Translational Medicine“, i ricercatori sono infatti riusciti a mostrare che in un gruppo di topi geneticamente ingegnerizzati per riprodurre la sindrome di Down, il precoce potenziamento della via di segnalazione della noradrenalina ha migliorato le loro capacità cognitive.

Alla nascita, hanno osservato i ricercatori, i bambini Down non sono in ritardo nello sviluppo cerebrale, ma questo con il tempo si accumula in correlazione a una difficoltà a far tesoro delle esperienze necessarie a un normale sviluppo cerebrale. “Se si interviene abbastanza presto si potrà essere in grado di aiutare i bambini con la sindrome di Down a raccogliere e modulare l’informazione. In linea teorica questo potrebbe portare a un miglioramento delle loro funzioni cognitive”, ha detto Ahmad Salehi, primo autore dello studio e attualmente in forza presso il Veterans Affairs Palo Alto Health Care System.

I ricercatori sono partiti dall’osservazione che nella sindrome di Down la cognizione non è colpita in tutti i suoi aspetti: chi ne soffre tipicamente ha difficoltà a gestire informazioni spaziali e contestuali di un ambiente complesso, che dipendono dell’ippocampo, ma ricorda molto meglio l’informazione legata a colori, suoni e altri stimoli sensoriali la cui memoria è coordinata da un’altra struttura cerebrale, l’amigdala.

Salehi e colleghi hanno quindi osservato che quando formano le tracce mnemoniche contestuali e relazionali i neuroni dell’ippocampo ricevono noradrenalina dai neuroni di un’altra area cerebrale, il locus coeruleus. Quest’ultimo, però, nell’essere umano affetto da sindrome di Down come nel topo ingegnerizzato va incontro a una veloce degenerazione.

Somministrando precocemente precursori della noradrenalina a un gruppo di esemplari del loro modello animale, i ricercatori sono riusciti a migliorarne le prestazioni, anche se gli effetti dei farmaci sono stati di breve durata.

Altri studi avevano già preso in considerazione gli effetti di un altro neurotrasmettitore, l’acetilcolina, che anch’esso ha un ruolo di primo piano nell’ippocampo. Secondo Salehi questi risultati aprono la prospettiva allo studio di eventuali trattamenti che contemplino il potenziamento congiunto di questi neurotrasmettitori.

Lo studio ha anche individuato un legame diretto fra la degenerazione del locus coeruleus e uno specifico gene, l’APP, di cui le persone affette da sindrome di Down possiedono una copia in più sul cromosoma 21 extra. APP è il gene che codifica la proteina precursore della proteina amiloide, coinvolto anche nella malattia di Alzheimer, anch’essa caratterizzata da problemi sia di formazione della memoria, sia di orientamento spaziale.

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