Virus H1N1: Ilaria Capua per il Corriere della sera “E’ mutante, servono ricercatori per imbrigliarlo”
Partendo dalla fine: «Inutile negarlo: c’è il rischio che diventi più aggressivo »
BRUXELLES — Avrebbe potuto permettersi di saltar su con un bel «io l’avevo detto!» visto che aveva previsto la pandemia già a febbraio, ma alla conferenza organizzata dalla Commissione europea sull’influenza A pochi giorni fa, si è limitata ad un più asettico «un dogma è stato infranto » .
D’altro canto Ilaria Capua, virologa dell’istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, che la rivista Science in un profilo ha definito uno dei cervelli più originali — e determinati — della ricerca degli ultimi anni, oltre quel pizzico di glamour che mancava fra gli scienziati/te, non ha bisogno di pubblicità. È lei la «prima» ad avere identificato nel 2006 il corredo genetico del temuto virus dell’influenza aviaria in Africa (che nell’uomo ebbe poi ben poche conseguenze), è ancora lei il «primo» ricercatore che si è rifiutato di trasferire questi dati nel riservatissimo database del Los Alamos National Laboratory nel New Mexico, come le chiedeva l’Organizzazione mondiale della sanità (vi avrebbero avuto accesso solo venti laboratori), optando per la più democratica GenBank . Aprendo la strada ad un modo nuovo di lavorare e di ragionare (forse).
Dottoressa Capua, lei aveva previsto quello che sta succedendo adesso. Ci spiega come? «Insieme all’istituto San Raffaele di Milano il mio gruppo alla fine di giugno ha pubblicato sulla rivista americana PloS Pathogens i risultati di uno studio che dimostra come gli anticorpi che la popolazione ha sviluppato grazie alle vaccinazioni contro l’influenza stagionale (il ceppo H1N1 era presente in quella del 1977) ‘non’ proteggono dal virus H1 di origine animale, qual è quello dell’influenza A che viene dai suini. Si è sempre creduto che la popolazione vaccinata contro un ceppo H1 di origine umana fosse immunizzata anche nei confronti dell’equivalente animale. Ci si preoccupava piuttosto del virus della aviaria (H5N1) perché eravamo ‘scoperti’ sotto il profilo immunitario non avendo mai avuto incontri con lui: invece questo virus non ha imparato a trasmettersi da uomo a uomo e ad oggi rimane confinato al regno animale».
E il dogma che viene sfatato… «È quello condiviso finora dalla maggior parte della comunità scientifica che soltanto alcuni sottotipi di influenza animale siano potenzialmente pericolosi per l’uomo. La pandemia da influenza A ci ha dimostrato che non è così. Dobbiamo impegnarci a costruire uno scambio di informazioni continue fra la ricerca biomedica e quella veterinaria se vogliamo prevedere, e evitare, altre pandemie in futuro».
Lei nel 2006, in piena emergenza aviaria, ideò e promosse la nascita del Gisaid, il primo consorzio di ricercatori con la specifica «mission» di favorire lo scambio dei dati genetici sui virus influenzali. Qual è l’utilità di una rete del genere? «L’H1N1, il virus dell’influenza A, è dotato di un patrimonio genetico costituito da 8 geni, otto frammenti di Rna fondamentali per modularne l’aggressività e la predilezione per certi organi. Il virus può andare incontro a mutazioni genetiche che lo rendono particolarmente lesivo per i polmoni o ad altre che ne spostano il bersaglio sulla trachea. Se noi disponiamo in tempo reale dei ceppi virali isolati dalle persone colpite, possiamo fare analisi e prevedere l’andamento clinico della malattia e decidere quali misure preventive e curative mettere in atto. Non solo; in un mondo globalizzato qual è il nostro, la comparsa di virus ‘arlecchino’ in cui si combinano patrimoni genetici di varia origine sarà sempre più frequente. Lo stesso virus H1N1 ha un genoma misto, di origine suina, umana e aviaria. Bisogna che tutte le informazioni che gli scienziati vanno acquisendo siano il più possibile condivise».
L’Organizzazione mondiale della sanità teme che il virus dell’influenza A si ricombini con quello dell’aviaria. Se succede, quali conseguenze ne possono scaturire? «Inutile negarlo: c’è il rischio che diventi più aggressivo ».