Associato un gene alla neutropenia – grazie alla bioinformatica se ne riesce a tracciare la storia

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neutrofili

La scoperta del gene associato a una rara forma genetica aiuterà a capire i meccanismi alla base di altre, più diffuse condizioni patologiche che possono sfociare in leucemie

La mutazione all’origine di una rara sindrome, il poichiloderma con neutropenia è stata identificata da un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano in collaborazione con il Nijmegen Medical Center, nei Paesi Bassi. La scoperta, pubblicata sull’“American Journal of Human Genetics”, apre la via allo studio del ruolo di questo gene in malattie molto più diffuse, come la comune neutropenia, ossia la carenza di neutrofili, i globuli bianchi attivi nel combattere le infezioni, e alla possibile evoluzione di questo difetto in forme neoplastiche.

Definito fino ad ora in banca dati come “gene ipotetico”, con funzione e ruolo ignoti – un gene dunque “insospettabile”, che qualsiasi strategia tradizionale avrebbe trascurato – il C16orf57 ha potuto essere identificato come gene-malattia solo attraverso l’utilizzo di un mix delle più recenti tecnologie di analisi di sequenziamento genomico e bioinformatica, che in questo caso hanno felicemente supportato le competenze di genetica clinica e molecolare.

Lo studio – condotto da Ludovica Volpi e Gaia Roversi e diretto da Lidia Larizza – è partito dall’analisi di un ampio albero genealogico di famiglie del Sud Italia con elevato grado di consanguineità in cui tre fratelli dell’ultima generazione presentavano un quadro clinico associabile a poichiloderma con neutropenia. Le stigmate di questa rara sindrome genetica autosomico recessiva – nella quale cioè è necessario che siano interessate alla mutazione sia la copia materna sia quella paterna del gene implicato – sono il rash cutaneo nel primo anno di vita e la neutropenia persistente non-ciclica.

L’analisi genome-wide ad alta risoluzione, quindi un vero lavoro di “setacciamento” di tutto il DNA dei 18 membri viventi della famiglia, e la successiva elaborazione bioinformatica dei dati hanno permesso di individuare le regioni genomiche identiche nei tre ragazzi affetti, trasmesse dal trisavolo, portatore sano del gene implicato nella sindrome.


Tra queste, quella con più alta probabilità di essere la “candidata” a contenere il gene alterato che si stava cercando è stata isolata dal genoma totale dei pazienti mediante la tecnica di capture e sottoposta a sequenziamento di nuova generazione, che permette di decifrarne il codice genetico confrontandolo con le sequenze di individui normali contenute nei database. L’elevata dimensione e densità genica (oltre 80 geni) della regione bersaglio ha immediatamente segnalato che l’utilizzo delle tecniche tradizionali per l’identificazione del gene responsabile non avrebbe avuto alcuna speranza di successo.

E’ così emerso che nel DNA dei pazienti affetti dalla patologia vi è una mutazione identica su entrambe le copie, materna e paterna, del gene C16orf57. Due diverse mutazioni che cadono all’interno di C16orf57 sono state individuate anche in un altro paziente non imparentato con la famiglia ma con la stessa presentazione clinica, permettendo di convalidare il ruolo del gene nella sindrome.

Considerata l’elevata espressione di questo gene in cellule della linea mieloide, grazie a questo studio – finanziato dalla Fondazione Nando Peretti e dell’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro e a cui ha collaborato anche Elisa Adele Colombo – sarà ora possibile appurarne il contributo alla più comune neutropenia, sia acquisita che congenita, e alla possibile evoluzione di questo difetto in forme neoplastiche, in particolare nella leucemia mieloide.

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