Epatocarcinoma: la sinergia di piu’ specialisti per combatterlo
L’epatocarcinoma è una patologia estremamente complessa, una sfida per medici e chirurghi epatologi, dalla diagnosi al trattamento. Il paziente epatopatico richiede una gestione clinica multispecialistica, che vede impegnati insieme epatologo, chirurgo, radiologo e oncologo indispensabile per ottenere efficaci risultati clinici.
A questo approccio è dedicato il Meeting, promosso dal Gruppo Multidisciplinare HepatoCatt dell’Università Cattolica di Roma, che si occupa del trattamento dei tumori del fegato, che avrà luogo in data odierna, mentre si riporta il presente, venerdì 18 dicembre 2009, presso il Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma (Aula Brasca), ore 9.00 – 13.30.
Il meeting offrirà una panoramica sulla necessità di una gestione interdipartimentale del paziente epatopatico, in particolere per il trattamento del carcinoma epatocellulare (HCC), che rappresenta oltre il 90% di tutti i tumori epatici maligni in costante crescita. Tale incremento si è registrato soprattutto negli ultimi decenni, tanto da rappresentare fino al 4-8% di tutti i tumori solidi negli USA e in Europa e fino al 20-40% in Africa e Sud-Est Asiatico.
Il carcinoma epatocellulare si associa alla cirrosi epatica nell’80-90% dei pazienti che vivono in Occidente e in Giappone; nella maggior parte dei casi si tratta di cirrosi post-epatitiche (da HCV e HBV), meno frequentemente di cirrosi alcoliche o secondarie a emocromatosi.
Ma il meeting sarà l’occasione per un bilancio dell’attività nel 2009 del Gruppo Hepatocatt del Gemelli che ha trattato con successo oltre 450 pazienti affetti da tumori primitivi del fegato. E questo brillante risultato è il frutto proprio dell’azione integrata, dalla diagnosi al trattamento, ottenuto grazie al lavoro di un team coordinato dall’epatologo Antonio Gasbarrini, dal chirurgo epato-biliare Gennaro Nuzzo e dal radiologo Lorenzo Bonomo.
Tra i moderatori e relatori del meeting si segnalano, inoltre, gli specialisti del Gemelli Marco Castagneto, Direttore del Dipartimento di Scienze chirurgiche, Giuseppe Bombardieri, Direttore dell’Unità Operativa di Medicina Interna e Gastroenterologia, Carlo Barone, direttore dell’Unità operativa di Oncologia medica. Il meeting sarà arricchito dalla lettura magistrale di Luigi Bolondi, Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia dell’Università di Bologna.
“L’epatocarcinoma – anticipa Gasbarrini – presenta molte caratteristiche che possono suggerire l’efficacia di un programma di screening soprattutto nei soggetti cirrotici, che possono usufruire di strumenti diagnostici non invasivi a basso costo come il dosaggio della fetoproteina sierica e l’ecografia; sono possibili inoltre trattamenti curativi, che possono consentire un’eccellente sopravvivenza a lungo termine come i trattamenti percutanei di iniezione di etanolo e di termo ablazione, le resezioni chirurgiche e il trapianto di fegato. Per tale motivo i pazienti con epatopatia cronica – dice l’epatologo del Gemelli – devono essere sottoposti a programmi di sorveglianza ad intervalli semestrali”.
“L’individuazione precoce di un nodulo sospetto – spiega Gasbarrini – consente di inviare il paziente a un processo di approfondimento diagnostico mediante metodiche radiologiche di secondo livello quali l’ecografia con mezzo di contrasto, la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica, quest’ultima potenziata dai mezzi di contrasto epatospecifici, che consentono di effettuare un inquadramento clinico precisissimo”.
Per la gestione del paziente HCC sono state standardizzate specifiche linee guida – come quella BCLC 2008 -; tali dati sono ben sintetizzati e razionalizzati in algoritmi.
A seconda delle condizioni cliniche generali del paziente si decide il trattamento sempre più personalizzato: i pazienti con un nodulo di piccole dimensioni possono essere candidati alla resezione epatica o, in taluni casi, a trattamenti loco-regionali ablativi come l’alcolizzazione o la termoablazione; il paziente oncologico è deputato al trapianto di fegato purché le caratteristiche tumorali rientrino in criteri dimensionali predefiniti, già individuati dai ricercatori al fine di limitare i casi di recidiva tumorale e ottimizzare le risorse (i cosiddetti trapianti futili); mentre per le forme oncologiche più avanzate, che presentano già alla diagnosi dimensioni superiori ai limiti per il trapianto di fegato o un’invasione vascolare ed extra-epatica, si prendono in considerazione terapie antiblastiche per via arteriosa. La più comune è sicuramente la chemioembolizzazione, che consiste nell’iniezione in corso di angiografia epatica di un chemioterapico veicolato da mezzo di contrasto oleoso, direttamente nell’arteria afferente più vicina alla massa neoplastica.
Il Gruppo HepatoCatt del Gemelli svolge la sua attività per la cura dei soggetti con epatocarcinoma proprio con modalità di approccio differenti, scelte sulla base delle caratteristiche morfologiche del tumore (numero dei noduli, dimensioni, tipo di vascolarizzazione) e sulle base condizioni cliniche generali del paziente (grado dell’epatopatia sottostante; performance status, comorbilità).
“Negli ultimi anni – conclude Gasbarrini – sono stati compiuti numerosi studi che hanno dimostrato una relativa efficacia di nuove terapie sistemiche a target molecolare, finalizzate a limitare la progressione della malattia nelle forme più avanzate; la grande novità di questi farmaci è la buona tollerabilità anche nei cirrotici, pazienti che finora non potevano sopportare chemioterapie di altro tipo per la loro ecessiva tossicità”.
In particolare è stata provata la relativa efficacia del farmaco sorafenib ad azione anti-angiogenetica nei pazienti cirrotici affetti da HCC avanzato, attualmente prescrivibile in Italia secondo note AIFA. Tale terapia, relativamente ben tollerata, a oggi, è riservata ai pazienti non suscettibili di trattamenti chirurgici né loco-regionali, e che presentino al momento dell’indicazione, un buon compenso epatico.