[Assogenerici] Leggi superflue per i biosimilari
La proposta di legge sui farmaci biologici a brevetto scaduto presentata al Senato va a ripetere concetti già presenti nella normativa in vigore, introducendo però gravi elementi di confusione. In questo modo si ostacola l’accesso alle cure più avanzate e la sostenibilità economica del Servizio sanitario
Milano, 22 gennaio 2010 – “Siamo lieti che si cominci ad affrontare il tema dei biosimilari dando spazio anche a voci autorevoli in materia come quella dell’Agenzia italiana del farmaco. AssoGenerici, però, non può fare a meno di puntualizzare alcuni aspetti importanti” così, Giorgio Foresti presidente di AssoGenerici introduce alcune osservazioni in merito al disegno di legge a firma dei senatori Cursi e Tomassini presentato al Senato nell’ambito del convegno “Biologici e Biosimilari: ruolo centrale del medico e sicurezza del paziente”. La legge, come è noto, si propone di stabilire la non equivalenza tra farmaci biosimilari e farmaci biologici e, quindi, di vietare la sostituzione tra biosimilare e farmaco biologico di riferimento. ”In realtà, come ha sottolineato anche il direttore generale dell’AIFA, professor Guido Rasi, questi aspetti sono già abbondantemente chiariti dalla normativa europea sui biosimilari, inoltre la sostituzione non è possibile per altre due ragioni: i farmaci biologici non sono nelle liste di trasparenza; i farmaci biologici e biosimilari non sono dispensati in farmacia, quindi non si vede chi potrebbe effettuare questa sostituzione all’insaputa del medico. Casomai, la legge dovrebbe ribadire che se non si può sostituire automaticamente il biologico originale con il biosimilare, per le stesse ragioni non si può sostituire il biosimilare con l’originale” spiega Foresti. Quello che è più grave, però, è che la legge introduce un ulteriore concetto, quello della “non equivalenza terapeutica” gravemente distorsivo”.
In pratica, è come se si dicesse che due farmaci aventi lo stesso meccanismo d’azione e lo stesso risultato clinico non servono a curare la stessa malattia e questo è contrario a quanto provano la letteratura scientifica e la pratica clinica. “La questione è di importanza fondamentale nelle procedure di acquisto dei farmaci biologici: se non viene riconosciuta l’ equivalenza terapeutica un ospedale, per esempio, non potrebbe mettere in gara per la fornitura, nel medesimo lotto, l’eritropoietrina originale e quella biosimilare, pur avendo queste le stesse indicazioni provate dagli studi clinici, cioè andando a curare la stessa malattia”.
In effetti il concetto di equivalenza terapeutica è già stato affrontato in Italia. L’occasione era stato il caso di un’ASL dell’Emilia Romagna che aveva messo in comparazione, in base al prezzo, tre eparine a basso peso molecolare con principi attivi differenti su cinque disponibili, considerandole fungibili quanto ad efficacia terapeutica per alcune indicazioni e, quindi, ponendole in concorso fra loro nello stesso lotto. La decisione era stata ritenuta legittima dal TAR competente e di recente, con le due sentenze 7690 e 7691 del dicembre scorso, il Consiglio di Stato l’ ha confermata, facendo una volta per tutte chiarezza sul principio di equivalenza terapeutica. “E’ in gioco un principio fondamentale e cioè che sarebbe illogico ed irrazionale escludere che dalle esperienze cliniche, valutate di volta in volta, possano individuarsi ipotesi concrete di equivalenza terapeutica tra farmaci biotecnologici commercializzati per le medesime indicazioni” argomenta il presidente di AssoGenerici.
Porre questo genere di divieti in fase di acquisto da parte degli ospedali e delle ASL, dunque, ha un solo effetto: complicare il lavoro delle amministrazioni e impedire ai biosimilari di competere sul piano del prezzo. “Ci sembra che per i biosimilari si cerchi di imporre lo stesso copione adottato con i generici, compresi gli attacchi infondati sul piano della sicurezza. I biosimilari, dovrebbe saperlo chi si erge a esperto, sono sottoposti a procedure di registrazione e programmi di farmacovigilanza più stringenti di quelli in atto per gli originatori” conclude Foresti. “E così mentre negli Stati Uniti l’amministrazione Obama si è mossa per ridurre la durata del brevetto dei farmaci biologici, per poter garantire a un sempre maggior numero di cittadini terapie intrinsecamente costose grazie ai biosimilari, in Italia si ritiene di dover cautelare soprattutto il marchio e non il paziente”.
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