L’Alzheimer inizia il percorso neurodegenerativo dall’ippocampo

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Le prime tracce di Alzheimer si fanno spazio nell’ippocampo, aggredendo questa regione del cervello e le strutture neurologiche limitrofe, quelle definite dagli addetti ai lavori paraippocampali. Ciò spiega perché un deficit della memoria è il più immediato campanello d’allarme dell’insorgenza della malattia anche in persone relativamente anziane ed apparentemente normali. Dopo i 50 anni di età, dunque, sottoporsi anche in condizioni di normalità a test di memoria può consentirci di stanare precocemente la predisposizione allo sviluppo della temibile malattia neurodegenerativa.

E’ una delle conclusioni a cui è giunto uno studio italiano condotto all’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma, che ha guadagnato le pagine della rivista Neurology.

La valutazione con test, precisa il team di studiosi, va unita a un nuovo tipo di risonanza magnetica nucleare in grado di rilevare le alterazioni anatomiche a carico delle aree del cervello responsabili del funzionamento della memoria stessa, in particolare quelle microstrutturali riferibili all’ippocampo.

Da diversi decenni è noto che persone sofferenti (per cause traumatiche, tossiche, infettive) di un danno anatomico a carico dell’ippocampo presentano, invariabilmente, una riduzione dell’efficienza della memoria, fino a vera e propria amnesia. Questo studio ora ha evidenziato che è proprio l’ippocampo, insieme alle vicine strutture paraippocampali, il primo a essere aggredito dall’Alzheimer.

Per arrivare a evidenziare questa correlazione, i ricercatori italiani hanno preso in esame 76 persone sane e prive di patologie neurologiche, tra i 20 e gli 80 anni di età. Il campione è stato sottoposto a un nuovo tipo di risonanza magnetica nucleare (Rmn) dell’encefalo: la diffusion tensor imaging (Dti), che consente di evidenziare alterazioni della microstruttura delle cellule nervose. Il campione studiato è stato contemporaneamente valutato con test di memoria verbale e visiva a lungo termine.

Dalla valutazione congiunta, neuroradiologica e neuropsicologica, è emerso che nelle persone al di sopra dei 50 anni le basse prestazioni ai test di memoria sono correlate a significative alterazioni microstrutturali a livello dell’ippocampo. I risultati dello studio suggeriscono quindi che anche negli anziani con prestazioni della memoria ridotte al livello più basso della soglia di normalità – ma non clinicamente rilevanti – andrebbe accertata l’eventuale contemporaneità di alterazioni microstrutturali a carico dell’ippocampo.

Il riscontro di questa associazione tra le due condizioni potrebbe essere predittiva di un’aumentata suscettibilità a sviluppare la malattia. Se la valutazione periodica (per circa tre anni) delle persone incluse nello studio – attualmente in corso alla Fondazione Santa Lucia – confermerà la validità di questa metodologia, potrebbero essere sviluppate nuove e più precoci terapie farmacologiche in grado di modificare in modo significativo il decorso della patologia neurodegenerativa.

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