Schizofrenia: maggiori i successi se curata precocemente

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Il massimo dell’efficacia della terapia farmacologica si ottiene somministrando i farmaci durante l’‘adolescenza’ dei ratti, ovvero molti mesi prima che raggiungano la piena maturità.

L’insorgenza della schizofrenia è un evento imprevedibile. Per questa come per altre malattie psichiatriche è stata formulata l’ipotesi “diatesi stress”, secondo cui una predisposizione genetica di base può portare al manifestarsi della patologia in particolari condizioni ambientali.
Per ciò che riguarda il contributo genetico, si sa ormai che sono coinvolti 14 geni, mentre sul fronte delle condizioni scatenanti è noto una di esse è un’infezione nella fase fetale, anche se la patologia si sviluppa tipicamente a partire dalla seconda decade.

Tenuto conto di queste conoscenze, Ina Weiner e colleghi dell’Università di Tel Aviv si sono messi alla ricerca di possibili segni biologici in grado di segnalare la progressione della malattia prima che se ne manifestino i sintomi. In particolare, hanno utilizzato tecniche di imaging cerebrale per evidenziare qualunque tipo di cambiamento nel cervello di animali di laboratorio.
“Se l’insorgenza della patologia è preceduta da progressivi cambiamenti cerebrali, è possibile che questi processi possano essere prevenuti con un intervento precoce”, ha spiegato la Weiner, che firma l’articolo di resoconto sulla rivista Biological Psychiatry. “Ciò ne rivoluzionerebbe il trattamento, che per ora rimane di tipo farmacologico e complessivamente insoddisfacente.”
La Weiner e colleghi hanno somministrato a femmine di ratto gravide un agente virale noto per la sua capacità di indurre nella prole un disturbo comportamentale con sintomi simili a quelli della schizofrenia. Questo metodo simula l’infezione materna durante la gravidanza riproducendone il rischio di insorgenza di schizofrenia. Si è così dimostrato che la progenie di ratti appariva normale alla nascita e fino all’adolescenza. Entrando nell’età adulta, tuttavia, gli animali cominciavano a manifestare sintomi schizofrenico-simili.
Le scansioni cerebrali, d’altra parte, mostravano uno sviluppo anomalo dei ventricoli laterali e nell’ippocampo nei ratti “schizofrenici”: questo tratto anatomico ha permesso di individuare i ratti a maggior rischio di sviluppare la patologia. Questi stessi individui sono poi stati trattati con risperidone e clozapina, due farmaci comuni nel trattamento della schizofrenia, riuscendo così a recuperare le dimensioni cerebrali normali.
“I clinici sospettavano da tempo che queste due molecole potessero prevenire l’insorgenza della schizofrenia, ma questo è il primo studio che dimostra sperimentalmente che tale trattamento è in grado di arrestare il processo di deterioramento cerebrale”, ha concluso la Weiner. “C’è da sottolineare peraltro che il massimo dell’efficacia si ottiene somministrando i farmaci durante la loro ‘adolescenza’, ovvero molti mesi prima che raggiungano la piena maturità.”

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