Scoperte cellule che causano leucemia infantile
Molto simili alle normali staminali, sono all’origine della forma neoplastica nota come T-ALL e nei prossimi anni potrebbero rappresentare un efficace bersaglio terapeutico.
Grazie a una serie di sperimentazioni sul modello murino, i ricercatori del Royal Melbourne Hospital e dell’Università di Melbourne, in Australia, hanno scoperto le cellule che sono all’origine di un comune tipo di leucemia infantile denominata leucemia linfoblastica acuta a cellule T (T cell Acute Lymphoblastic Leukaemia, T-ALL). Il risultato, sperano gli autori, potrebbe aprire la strada al miglioramento dei trattamenti di questa malattia e ad elaborare nuove strategie di prevenzione.
Il gruppo di ricerca, guidato da Matthew McCormack e David Curtis dei Rotary Bone Marrow Research Laboratories del Royal Melbourne Hospital, è arrivato al risultato mentre studiava un gruppo di topi di laboratorio suscettibili a tale tipo di leucemia. Si è scoperto infatti che, irraggiando gli animali, più del 99 per cento delle cellule del timo veniva distrutto, ma che le restanti cellule staminali resistevano per poi tornare addiruttura a proliferare. Ciò porta a ipotizzare che proprio questo ceppo cellulare sia quello che porta la patologia a riprendere dopo i trattamenti terapeutici.
Attualmente, i bambini affetti da T-ALL sono trattati con una terapia estesa su due o tre anni nel tentativo di impedire un’eventuale recidiva. Una terapia più mirata sulle cellule del timo potrebbero così ridurre la lunghezza e la tossicità del trattamento e prevenire più efficacemente le recidive.
Secondo McCormack, coautore dell’articolo di resoconto apparso sulla rivista “Science”: “Le origini cellulari di questa leucemia non sono ancora state chiarite del tutto. La nostra scoperta che queste cellule sono simili alle normali staminali spiega perché siano capaci di sopravvievere per lunghi periodi. E spiega anche perché siano così resistenti ai trattamenti.”
Il gruppo ha anche annunciato l’intenzione di dedicare i propri studi a cercare di capire in che modo si possano uccidere le cellule appena individuate e arrivare così ai trial clinici entro cinque anni. (