Laser a bassa frequenza per bruciare nanoparticelle – nuove applicazioni in campo medico
Il processo è già stato testato in una serie di esperimenti: le applicazioni riguardano la distruzione di cellule tumorali, l’innesco di esplosivi e la litografia
“Bruciare” nanoparticelle utilizzando un laser a bassa potenza: ad aprire la strada a questa nuova tecnica che potrebbe avere notevoli applicazioni in medicina è una nuova ricerca effettuata dai ricercatori dell’ Università della Florida.
Secondo quanto riferito sulla versione online della rivista Nature Nanotechnology, gli autori Vijay Krishna, Nathanael Stevens, Ben Koopman e Brij Moudgil hanno utilizzato laser non più potenti di quelli usati come puntatori per illuminare, riscaldare o indurre alla combustione molecole di fullerene, le ben note strutture di soli atomi di carbonio su cui si concentra buona parte delle ricerche in campo nanotecnologico per le loro interessanti caratteristiche chimico-fisiche.
La radiazione laser standard di potenza limitata a 500 milliwatt ha un’energia sufficiente a innescare lo svolgimento delle strutture fullereniche: il processo, hanno spiegato i ricercatori, porta a un rapido rilascio dell’ energia immagazzinata nel corso della loro formazione.
Il processo è poi stato sfruttato in alcuni test applicativi. Nel corso del primo, in alcune cellule cancerose in coltura sono stati iniettati alcuni fullereni funzionalizzati noti per essere biologicamente inattivi. Il riscaldamento degli stessi fullereni mediante laser ha portato alla distruzione delle cellule tumorali.
La seconda applicazione è invece una versione laser di un sistema d’innesco di sostanze esplosive, che utilizzerebbe un’energia notevolmente inferiore a quella dei dispositivi elettrici tradizionali, basati generalmente su un filamento in tungsteno simile a quello presente nelle comuni lampadine a incandescenza.
La terza e ultima applicazione testata potrebbe aprire la strada a nuove tecniche litografiche, per la produzione di chip per l’elettronica: i ricercatori sono riusciti a impimere la scritta miniaturizzata “UF”, l’acronimo dell’ Università per cui lavorano, su un foglio ricoperto ricoperto con i fullereni.