L’infertilita’ in Italia: una coppia su sette
I dati del congresso di endocrinologia ginecologica: 55mila casi di fecondazione assistita nel 2007. L’età media delle donne che si rivolgono ai centri è 36 anni e un parto su 4 è di ultraquarantenni .
L’infertilità dilaga. I dati parlano chiaro: oggi una coppia italiana su sette è infertile, in 55.437 hanno intrapreso un percorso di procreazione medicalmente assistita (Pma) nel 2007, grazie al quale sono nati 10.000 bimbi. I numeri arrivano dagli esperti della Società di endocrinologia ginecologica riuniti a Firenze, che spiegano come nel nostro Paese le pazienti che utilizzano le tecniche di Pma hanno in media 36 anni e un parto su 4 avviene in ultraquarantenni, con percentuali di riuscita decisamente più basse. L’aspettativa di avere un figlio per una coppia nella quale è presente una donna di età superiore ai 35 anni è ridotta del 50% rispetto a chi ha un’età inferiore.
Uno dei problemi più attuali nella lotta all’infertilità in Italia è l’età in cui le donne decidono di avere il primo figlio. “I nuovi ruoli sociali e l’emancipazione femminile hanno spostato la maternità dopo i 30 anni, in alcuni casi anche dopo i 35. Tanto che l’età media di chi si rivolge ad un centro per la Pma – spiega il dottor Giuseppe Palumbo, direttore della clinica ostetrica e ginecologica di Catania – è di 36 anni. Prima si studia, si cerca una sistemazione e si forma una coppia. E soltanto alla fine si fa un figlio”. Sono cambiati i tempi, continua a spiegare l’esperto, ma per la biologia della donna il periodo migliore per la gravidanza resta sempre la fascia 20-30 anni; dai 30 ai 40 anni è ancora possibile concepire figli, ma dopo i 40 la fertilità spontanea decresce in maniera drastica. E purtroppo questo vale anche per l’aiuto che può venire dalla procreazione assistita. Se è vero che un ciclo di procreazione assistita su quattro in Italia è praticato su una ultra quarantenne, è vero anche che la percentuale di successo in questa fascia d’età si riduce dal 25%, dato che corrisponde a quello di un buon centro italiano su età inferiori ai 40 anni, al 5-7%.
“Ma per risolvere i problemi del concepimento, bisognerebbe dare incentivi alle famiglie giovani per consentire di avere subito figli e operare concettualmente anche sulle persone”. Spiega ancora Andrea Genazzani. “Nel nostro Paese abbiamo una legge ad hoc sui cosiddetti ‘congedi parentali’ tra le più avanzate in Europa, che nessun altro modello ha superato. Tuttavia non è bastata per invertire la tendenza di posticipare la prima gravidanza”. Ciò avviene anche in altri stati europei, seppure in percentuale molto bassa, in Italia è forse più accentuato. E’ vero ci sono problemi economici, di casa, di affitto, che politica e Istituzioni possono aiutare a superare, ma di base è un problema di mentalità della società di oggi. “Il mio consiglio – conclude Genazzani – è ‘lavorare’ sui giovani per creare la consapevolezza che non tutto è possibile, che ognuno è libero di scegliere, ma che la biologia continua, pur con gli enormi progressi della medicina, ad imporci le sue leggi”.
Tra calo della fertilità e successo della Pma, gli specialisti celebrano, a 50 anni dalla scoperta, le gonadotropine, sostanze utilizzate per stimolare ovaio e testicoli e indurre la gravidanza. Nel solo triennio 2005-2008, nel nostro Paese, le gonadotropine sono state usate in oltre 200 mila cicli per trattare donne con difficoltà di concepimento: così la stimolazione ovarica ha permesso a oltre 21 mila bambini di venire alla luce. Un risultato ottenuto grazie a un lungo cammino della ricerca, non privo di elementi curiosi. “In Italia – spiega Andrea Genazzani, ordinario di medicina della procreazione e dell’età evolutiva dell’Università di Pisa e presidente del congresso – per ottenere gonadotropine di estrazione urinaria da donne in menopausa furono utilizzate le urine delle suore del Vaticano. In questo modo le religiose contribuirono a rendere fertili un gran numero di donne che non riuscivano a concepire”. L’evoluzione delle tecniche ha reso poi possibile riprodurre le gonadotropine in vitro con procedure di ingegneria genetica, inserendo i geni che codificano le proteine in batteri da cui sono state estratte le gonadotropine ricombinanti.