Rene: trattamento pre-operatorio per ridurre massa tumorale rende meno invasivo l’intervento

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MILANO – In Italia colpisce ogni anno circa quattromila persone ed è difficile da diagnosticare perché, soprattutto nelle prime fasi della malattia, dà pochi segni di sé. Il tumore del rene viene quindi frequentemente individuato in stadio avanzato, quando è molto più difficile da curare. Uno studio appena pubblicato sul Journal of Clinical Oncology porta però buone notizie: secondo i ricercatori americani del Lineberger Comprehensive Cancer Center l’uso di sorafenib riesce a ridurre la massa neoplastica e a rendere possibile la chirurgia anche nei casi di carcinomi di grandi dimensioni.
RIDURRE IL TUMORE PER POTER OPERARE – Se diagnosticato in fase precoce il carcinoma renale può essere completamente asportato, anche per via laparoscopica, ma poiché si manifesta con sintomi piuttosto vaghi (sangue nelle urine, dolore al fianco, al dorso, all’addome e – solo più tardi – una massa palpabile a livello dell’addome) la malattia viene spesso scoperta quando ha già dato metastasi e le possibilità di guarigione diminuiscono. Anche in questi casi, però, l’asportazione del tumore (per lo più tramite nefrectomia parziale o totale) resta un passo fondamentale per prolungare la sopravvivenza dei malati. Un passo impossibile per una consistente percentuale di pazienti, che arrivano alla diagnosi quando la lesione cancerosa è troppo grande.

LO STUDIO – «Abbiamo scoperto che una terapia a base dell’inibitore delle tirosin chinasi sorafenib eseguita prima dell’operazione – spiega l’autrice della ricerca, Kimryn Rathmell – riesce a ridurre la massa del tumore fino al 40 per cento. Il che significa poter eseguire interventi chirurgici meno invasivi, garantendo una successiva qualità di vita migliore ai malati». Inoltre, la cura con sorafenib renderebbe candidabili alla chirurgia alcuni pazienti che finora non lo erano a causa dello stadio troppo avanzato della neoplasia. I ricercatori Usa hanno sperimentato la terapia su 30 pazienti con un carcinoma renale di fase due o superiore, anche metastatico, a cui hanno somministrato due dosi orali al giorno del farmaco per un periodo variabile fra le quattro e le otto settimane. «Durante questo lasso di tempo non c’è stata una progressione della malattia in nessun malato – dichiara Rathmell -. In due casi abbiamo avuto una risposta parziale e tutti i partecipanti hanno poi potuto essere sottoposti alla nefrectomia, senza complicanze legate alla somministrazione di sorafenib». Il trattamento pre-operatorio, poi, è stato ben tollerato e con una tossicità pari a quella già conosciuta per il farmaco, i cui effetti collaterali più frequenti sono la stanchezza e l’insorgenza di eruzioni cutanee. Ora, dicono gli esperti, servono ulteriori studi su un numero più vasto di pazienti per verificare se la cura pre-operatoria possa migliorare gli esiti dell’intervento.

QUANDO INVECE LA DIAGNOSI È PRECOCE – Anche se non di frequente, capita che una neoplasia renale venga individuata incidentalmente (durante controlli eseguiti per altre ragioni) quando è ancora agli stadi iniziali. «In questi casi, si tratta per lo più di lesioni piccole, con un diametro inferiore ai quattro centimetri che possono essere asportate preservando l’organo», spiega Ottavio de Cobelli, direttore della divisione di Urologia presso l’Istituto europeo di oncologia di Milano. Situazioni in cui, secondo l’esperto, la chirurgia laparoscopica robot assistita si è rivelata una strategia particolarmente utile perché permette spesso di conservare il rene. «Per effettuare un intervento chirurgico conservativo sul rene – prosegue de Cobelli – è necessario interrompere il flusso di sangue dell’arteria renale attraverso il cosiddetto “clampaggio”, che non può però superare i 20-25 minuti. Un tempo in cui è spesso difficile effettuare la rimozione del nodulo con la chirurgia tradizionale. Ragione per cui frequentemente si decide d’asportare l’intero organo. La chirurgia robotica, invece, offre al medico una visuale del campo operatorio migliore, gli permette manovre di maggiore precisione, utilizzando strumenti che riducono al minimo il danno ai tessuti e i tempi d’ìintervento. Questo in molti casi permette di conservare il rene». Il Robot, insomma, è uno strumento che potenzia le capacità del chirurgo, aiutandolo fra l’altro a ridurre gli effetti collaterali (come la perdita di sangue, il dolore post-operatorio) con decorsi più brevi per i pazienti.

Vera Martinella
(Fondazione Veronesi)

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