Prima volta microchip infetta uomo con virus ‘informatico’
Il chip di identificazione impiantato in una mano di un ricercatore che consentiva l’accesso a locali riservati e la tracciabilità della sua posizione è stato sperimentalmente infettato per saggiare la sicurezza di queste apparecchiature.Mark Gasson, ricercatore dell’Università di Reading, è la prima persona a essere mai stata infettata da un virus del computer. O, più precisamente, è stato infettato in chip che gli era stato inserito in una mano nel quadro di una ricerca volta a studiare potenzialità e rischi di apparecchiature impiantabili volte a potenziare e migliorare le capacità umane.
I risultati dello studio – che verranno presentati al prossimoconvegno internazionale della IEEE dedicato a “Tecnologia e società” in programma presso l’Università di Wollongong, in Australia, dal 7 al 9 giugno – hanno notevoli implicazioni sulle future tecnologie elettroniche impiantabili, peraltro già diffuse in campo medico dai pacemaker agli impianti cocleari.
Le tecnologie sottostanti a queste applicazioni, osserva Gasson sono divenute sempre più vulnerabili ai virus dei computer: “La nostra ricerca mostra che la tecnologia impiantabile si è sviluppata al punto che gli impianti sono in grado di comunicare archiviare ed elaborare dati. Sono in effetti dei mini computer. Ciò significa che come quelli propriamente detti, possono essere infettati da virus ed è necessaria una tecnologia in grado di far fronte a questo problema, così che gli impianti, inclusi quelli medici, possano essere in futuro utilizzati con sicurezza”.
Al ricercatore era stato impiantato un chip per l’identificazione ad alta frequenza (RFIC) che gli permetteva l’accesso sicuro a locali riservati dell’Università e al suo telefono cellulare, oltre che a garantirne la tracciabilità e rilevare il profilo di alcuni parametri.
Una volta infettato, il chip ha infettato anche il sistema principale destinato a comunicare con esso e sarebbe stato pronto a passare ad altre apparecchiature a esso connesse.
“Infettando il mio stesso impianto con un virus per computer abbiamo dimostrato quanto avanzate stanno diventando queste tecnologie, ma ci siamo anche fatti un’idea dei problemi che potrebbero sorgere un domani”, ha commentato Gasson. “A un anno dall’impianto, lo sento come una parte del mio corpo, e se è in un certo senso eccitante essere la prima persona infettata da un virus del computer in questo modo, è stata anche un’esperienza in cui mi sono sentito sorprendentemente violato, dato che l’impianto è intimamente connesso a me, ma la situazione era potenzialmente al di fuorio del mio controllo.”
“Credo che sia necessario riconoscere che il nostro prossimo passo evolutivo potrebbe essere quello di diventare un po’ macchine, alle quali guarderemo come a un nostro potenziamento. E ci potremo trovare di fronte a una forte pressione sociale per disporre tecnologie impiantabili, vuoi sotto forma di status sociale, come per i telefoni cellulari, vuoi perché si sarà svantaggiati se non li si ha. Ma bisogna essere ben consapevoli della nuova sfida rappresentata da questo passo.”