Carenza di vitamina D, questione di ‘geni’
Alcuni ricercatori hanno scoperto che fattori genetici, esposizione al sole e dieta sono tutti elementi che hanno un ruolo nel rischio di sviluppare un’insufficienza di vitamina D. Il loro studio di associazione dell’intero genoma, che è stato in parte finanziato dall’UE, identifica tre siti genetici legati alle concentrazioni di vitamina D. I risultati sono stati pubblicati online dalla rivista The Lancet.
Il lavoro è stato supportato dai progetti ENGAGE (“European network for genetic and genomic epidemiology”), GEFOS (“Genetic factors for osteoporosis”), TREAT-OA (“Translational research in Europe – applied technologies for osteoarthritis”) e GENOMEUTWIN (“Genome-wide analyses of European twin and population cohorts to identify genes in common diseases”), tutti finanziati dall’UE. I primi tre progetti sono satati finanziati con ben 12 Mio EUR, 2,9 Mio EUR e 11,9 Mio EUR rispettivamente nell’ambito del tema “Salute” del Settimo programma quadro (7° PQ), mentre GEOMEUTWIN ha ricevuto una sovvenzione di 13,7 Mio EUR attraverso il programma “Qualità della vita” del Quinto programma quadro (5? PQ).
Analizzando i livelli di vitamina D nel siero del sangue di quasi 34.000 persone di discendenza europea, i ricercatori hanno identificato i siti genetici (loci) coinvolti nella sintesi del colesterolo, il metabolismo della vitamina D e il trasporto della vitamina D. I soggetti che mostravano varianti genetiche nocive (alleli) in tutti questi luoghi contemporaneamente avevano 2,5 probabilità in più di avere concentrazioni di vitamina D più basse di 75 nanomole per litro (nmol/L). Le concentrazioni normali sono state definite per questo studio al di sopra di tale valore.
“Le nostre scoperte stabiliscono un ruolo per le varianti genetiche comuni nella regolazione delle concentrazioni di vitamina D in circolo,” si legge nell’articolo. “La presenza di alleli nocivi nei tre loci confermati portava il rischio di insufficienza di vitamina D a più del doppio. Queste scoperte accrescono le nostre conoscenze sulla regolazione della vitamina D e potrebbero contribuire all’identificazione di un sottogruppo della popolazione bianca più a rischio di insufficienza di vitamina D e che potrebbe avere bisogno di maggiori livelli di integrazione.”
Gli scienziati sottolineano che il loro studio era concentrato esclusivamente su un sottogruppo della popolazione generale: “Abbiamo esaminato solo individui bianchi di discendenza europea. Non sappiamo se le varianti genetiche che abbiamo identificato hanno effetti sullo stato della vitamina D in altri gruppi razziali o etnici e quindi questo dovrebbe essere oggetto di ulteriore ricerca.”
“I risultati attuali spiegano solo in parte la grande variabilità di stati di vitamina D e non si sa se queste variazioni genetiche modificano le conseguenze di salute nella deficienza di vitamina D,” ha commentato il dott. Roger Bouillon della Katholieke Universiteit Leuven in Belgio. “Quindi queste nuove scoperte probabilmente non avranno alcuna conseguenza per la lotta contro la deficienza di vitamina D. Servono ulteriori studi per spiegare i meccanismi che sottendono alla pandemia di deficienza di vitamina D e, soprattutto, serve una strategia per correggere questa grave deficienza in tutto il mondo.”
La deficienza di vitamina D è un disturbo molto comune e colpisce probabilmente oltre 1 miliardo di persone in tutto il mondo. Poichè la vitamina D è la chiave per avere muscoli e ossa sani, livelli insufficienti di questo elemento possono portare a una scarsa mineralizzazione ossea e in definitiva all’indebolimento delle ossa (rachitismo) e all’osteoporosi. La mancanza di vitamina D è implicata inoltre in una serie di altri disturbi tra cui il cancro e le malattie immunitarie e cardiovascolari.
Per ulteriori informazioni, visitare:
King’s College London:
http://www.kcl.ac.uk/
The Lancet:
http://www.thelancet.com/