Epatite C: piccola mutazione genetica per capire come combattere il virus
Un polimorfismo di singolo nucleotide a carico del gene che codifica per l’interferone lambda, è associato con la capacità dell’organismo di eliminare il virus dell’epatite C
Una piccola mutazione genetica a carico di un gene che codifica per una citochina antivirale denominata interferone lambda consente di prevedere in che modo i pazienti infettati da epatite C reagiscono al trattamento, aprendo la strada alla personalizzazione della terapia di questa patologia difficile da trattare. È questo il risultato presentato nel corso dell’annuale conferenza della European Society of Human Genetics da Zoltan Kutalik, del dipartimento di genetica medica dell’ Università di Losanna, in Svizzera.
L’epatite C è una patologia del fegato causata dal virus denominato HCV che può essere contratta per abuso di sostanze, trasfusioni di sangue o per via sessuale. Circa il 10 per cento di tutti i pazienti non hanno cause identificabili di infezione.
Il virus produce un’infezione cronica in circa l’80 per cento dei soggetti infettati, e metà di essi non rispondono alle terapie esistenti. L’attuale trattamento prevede la combinazione di un interferone e di una antivirale, il ribavirin. Gli effetti indesiderati sono tuttavia diffusi e di una certa importanza, al punto che molti pazienti non sono in grado di proseguire la terapia.
L’analisi dei ricercatori di Losanna ha ora mostrato che un polimorfismo di singolo nucleotide, o SNP, a carico del gene IL28B, che codifica per l’interferone lambda, è associato in modo significativo con la capacità dell’organismo di eliminare il virus dell’epatite C.
In particolare, gli individui portatori dell’allele protettivo in questo locus genetico hanno una probabilità di eliminare l’infezione del virus doppia ai non portatori, e anche se non riescono a sconfiggerlo rispondono alla terapia in modo molto più efficace.
“Grazie ai nostri risultati, possiamo ipotizzare che il gene per l’interferone lambda sia cruciale per incrementare il successo della terapia, e i risultati dei trial attualmente in corso sembrano essere incoraggianti”, ha concluso Kutalik.