La diagnosi delle malattie genetiche sul primo globulo polare: tecnica ed efficacia della procedura
Da settembre anche in Italia è possibile effettuare, nella struttura pubblica della Fondazione IRCSS “Cà Granda” – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, la diagnosi pre-concezionale sul primo globulo polare al fine di diagnosticare eventuali malattie genetiche in soggetti che ricorrono alla PMA.
La biopsia dei globuli polari, proposta nel 1990 da Yuri Verlinsky, può essere utile per la diagnosi delle malattie genetiche.
Nell’ovocita, durante il processo di meiosi, il materiale genetico (cromosomi) si divide in modo perfettamente uguale, mentre il restante materiale cellulare (massa citoplasmatica) si divide in modo asimmetrico. Ne derivano un ovocita di grande dimensione ed una cellula molto più piccola chiamata globulo polare.
Il primo globulo polare (PB1) viene estruso dall’ovocita al momento dell’ovulazione.
Il secondo globulo polare (PB2), invece, non viene estruso fino al momento della fecondazione. A differenza di PB1, composto da 23 cromosomi bivalenti, il PB2 contiene un tipico set aploide di 23 cromosomi singoli, i cui omologhi rimasti nell’ovocita formano il corredo cromosomico aploide del gamete femminile fecondato.
Il potenziale genetico dei globuli polari è stato dimostrato con esperimenti in vitro e si ritiene che la selezione del materiale genetico estruso dall’ovocita non avvenga sulla base della “qualità”; è certo che la rimozione del globulo polare, in quanto materiale extra-embrionale, non interferisca con la fecondazione o la divisione cellulare.
La rimozione del primo globulo polare può pertanto essere utile per fornire una fonte di studio dell’ovocita e dell’embrione senza interferirne con lo sviluppo.
Con beneficio di semplificazione, nella cellula ogni informazione genetica (gene) è portata dai cromosomi omologhi in duplice copia. Benché si tratti degli stessi geni, le due copie contengono varianti diverse dell’informazione: questo aspetto è fondamentale ai fini della variabilità genetica ma a volte una particolare variante può essere causa di malattia.
Durante la maturazione dell’ovocita, le coppie di cromosomi omologhi, dopo la duplicazione del DNA, si separano e le due copie (duplicate) di tutte le informazioni genetiche vengono a trovarsi o nell’ovocita o nel primo globulo polare. Nella figura 1, per un’ipotetica coppia di cromosomi, sono rappresentati i cromosomi fratelli “bianchi” rimasti nell’ovocita e i cromosomi fratelli “neri” estrusi nel primo globulo polare (PB1). (E’ schematizzata una sola coppia di cromosomi e non 23 come nel caso reale umano). Al momento della fecondazione, cioè quando lo spermatozoo penetra nell’ovocita, viene estruso il secondo globulo polare (PB2) i cui cromosomi portano informazione uguale a quella dei cromosomi rimasti nell’ovocita.
Supponiamo di esaminare l’informazione portata da un ovocita proveniente da una donna portatrice di una mutazione in eterozigosi in un certo gene (responsabile di una malattia). L’ovocita che inizia la sua maturazione avrà entrambe le copie del gene in questione, sia quella “normale” che quella “mutata”, presenti sui cromosomi omologhi. Ognuno dei cromosomi omologhi presenta il proprio DNA duplicato. Alla formazione del primo globulo polare corrisponde l’estrusione di un set di cromosomi omologhi che possono portare l’informazione “normale” o quella “mutata”. In linea teorica, se il gene mutato viene estruso nel PB1, l’informazione normale rimane nell’ovocita e viceversa.
Fig. 1
Un importante fenomeno limita però la semplicità di questo schema: il CROSSING OVER.
In questo caso avviene uno scambio di materiale genetico tra cromosomi omologhi prima dell’estrusione di PB1.
Per questo motivo l’informazione genetica è “rimescolata” tra PB1 e l’ovocita, quindi riferendosi all’esempio, il gene mutato e quello normale possono essere contemporaneamente nell’ovocita e nel globulo polare. Il riscontro di due varianti geniche in PB1 indica che è avvenuto il crossing over e che quindi non è possibile sapere quale delle due varianti geniche rimarrà in modo definitivo nell’ovocita: è necessario a questo scopo analizzare il PB2 per dedurre quale sia la variante genica dell’ovocita tra le due possibili (vedi figura 2). Il crossing over rende più indaginosa la PGD (Diagnosi Genetica Preimpianto) sui globuli polari ed interessa circa il 60 – 70% degli ovociti. Il fenomeno del crossing over rende quindi necessario estendere l’analisi al secondo globulo polare nella maggior parte dei casi. Inoltre, quand’anche si riscontrasse un’unica informazione genetica nel primo globulo polare (e si sospettasse assenza di crossing over), non si potrebbe affermare una diagnosi accurata; il risultato potrebbe, infatti, derivare correttamente da due copie identiche dell’informazione genetica contenuta, ma anche da un “errore” di amplificazione del DNA necessaria per l’analisi molecolare.
Ad oggi l’analisi del PB1 presenta un margine di errore attorno al 5-7%, con una tendenza che si avvicina maggiormente al 5%. Un miglioramento, del tutto possibile, di questa tecnica eliminerebbe il problema della diagnosi pre-impianto dell’embrione.
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