Artrite reumatoide: tra diagnosi tardive e nuovi protocolli di terapia
L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica autoimmune a decorso fluttuante e progressivo che conduce alla distruzione articolare con conseguente disabilità fisica. Ad oggi la diagnosi della malattia risulta ancora tardiva e lo specialista a cui il paziente viene inviato non è sempre il reumatologo. Infatti, trascorre in media un anno tra la comparsa dei primi sintomi e la diagnosi ed è frequente che si arrivi dal reumatologo e alla terapia più idonea dopo percorsi tortuosi. Il risultato finale? Un paziente con artrite reumatoide su due non raggiunge un buon controllo della malattia o non risponde affatto agli attuali trattamenti con conseguenze invalidanti. In Italia, l’artrite reumatoide, colpisce circa 300 mila persone, nel 75% dei casi donne specie in età lavorativa, tra i 35 e i 50 anni.
Esperti della reumatologia italiana discutono a Sorrento di queste problematiche e delle nuove opportunità terapeutiche in occasione dell’evento “RA therapy: look to change”. Protagonista dell’incontro il nuovo farmaco biologico tocilizumab, un’innovazione terapeutica da poco a disposizione per i pazienti affetti da artrite reumatoide.
“Tocilizumab ha le caratteristiche per migliorare significativamente l’armamentario terapeutico disponibile nella cura dell’artrite reumatoide. – commenta Gabriele Valentini, professore ordinario di Reumatologia e direttore dell’Unità Operativa di Reumatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Seconda Università di Napoli – Esso, infatti, da un lato ha, in monoterapia, un’efficacia superiore rispetto al metotrexato, dall’altro ha un’indicazione elettiva nelle forme con spiccate manifestazioni sistemiche, cioè accompagnate da febbre, astenia e anemia refrattaria alla terapia. Tocilizumab agisce colpendo un ‘nuovo’ bersaglio, li recettore dell’interleuchina-6, molecola che ha un ruolo fondamentale nella cascata infiammatoria che caratterizza l’artrite reumatoide”.
La sua efficacia è stata valutata in un’ampia casistica di pazienti attraverso il più vasto programma di sviluppo clinico mai realizzato fino ad ora per il trattamento dell’artrite reumatoide con circa 4.400 pazienti arruolati. Inoltre, è stato dimostrato che nei pazienti affetti da artrite reumatoide moderata o severa trattati per oltre 2 anni con tocilizumab,in combinazione con metotrexato, si è ottenuta una significativa riduzione della progressione del danno articolare.
Negli ultimi dieci anni sono stati fatti dei progressi notevoli nel controllo della malattia e per accelerare il momento della diagnosi sono state istituite le ‘Early Arthritis Clinic’ (cliniche per la diagnosi precoce dell’AR). Tuttavia, esistono ancora troppi ostacoli “strutturali”, tra gli altri quello che gli esperti definiscono “afferenza non appropriata”: spesso i pazienti non vengono inviati subito al reumatologo, che è lo specialista di riferimento per la cura dell’AR, rallentando così i tempi della diagnosi e quindi l’identificazione della terapia più adeguata.
“L’Italia soffre ancora di un ritardo diagnostico – aggiunge il prof. Valentini – e spesso nell’artrite reumatoide la perdita di tempo si traduce in maggiore probabilità di disabilità. La diagnosi precoce è quindi fondamentale perché gli obiettivi raggiungibili sono inversamente proporzionali ai tempi della diagnosi. In altre parole, per il paziente che ha una durata di malattia minore di un anno l’obiettivo è la remissione, mentre per un paziente con durata di malattia superiore diventa la bassa attività di malattia. Sono due obiettivi diversi ed è evidente che il primo è nettamente più appetibile. L’appropriatezza della cura è un aspetto fondamentale da tenere in considerazione – continua Valentini -. Ogni paziente dovrebbe essere visitato ogni 3 mesi per ottimizzare il raggiungimento dell’obiettivo predeterminato secondo il principio del ‘treat to target’. E’ come un circolo vizioso: non si arriva alla cura appropriata perché non ci si rivolge allo specialista adeguato. Così, da un lato c’è una parte di pazienti che viene inappropriatamente trattata con farmaci potenti; dall’altra parte, pazienti che non riescono a contattare lo specialista e a curarsi con la terapia adeguata. La sfida per il futuro è riuscire a identificare il farmaco più adatto al singolo paziente a priori e non più a posteriori”.
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