I sintomi della Malattia di Parkinson
Sintomi Principali
- Rigidità muscolare
Spesso erroneamente attribuita a un’infiammazione articolare, un reumatismo o una postura scorretta, potrebbe rappresentare l’esordio della malattia.
- Tremore
Può non essere presente in tutti i malati (circa il 30% delle persone affette da Malattia di Parkinson non lo manifesta). Nelle fasi iniziali della malattia, colpisce solo una parte del corpo, spesso le mani, i piedi e le dita ed è un tremore a riposo: diminuisce afferrando un oggetto, come ad esempio un bicchiere, o nel sonno.
- Lentezza dei movimenti (bradicinesia)
Si manifesta come una maggiore difficoltà a svolgere movimenti fini come lo scrivere, il cucire e il radersi: si impiega più tempo e ci si sforza di più per effettuare le normali attività, oppure per passare da una posizione all’altra (alzarsi da una sedia, scendere dalla macchina, girarsi nel letto) o per vestirsi (indossare una giacca o un cappotto)
Sintomi non motori
La Malattia di Parkinson presenta anche sintomi non legati ai movimenti (cosiddetti non motori) che in alcuni casi possono precedere di anni l’inizio del disturbo e che devono far scattare un campanello d’allarme:
- Stipsi
Può precedere di 20 anni la comparsa dei sintomi motori.
- Depressione
Anticipa di molti mesi la comparsa dei sintomi motori in circa il 30% dei casi.
- Ridotta sensibilità olfattiva (iposmia)
Interessa ben il 70% delle persone con Malattia di Parkinson.
- Dolore
Può essere di vario tipo (crampi, sensazione di intorpidimento, di bruciore) e riguardare soprattutto le gambe.
- Disturbi durante il sonno
Agitazione con emissione di urli, movimenti bruschi e violenti.
- Minore espressività del volto
- Cambiamenti della voce o del modo di esprimersi
Parlare più lentamente, con voce flebile, monotona, rauca, esitante o più veloce.
- Difficoltà di concentrazione e memoria
Nelle fasi iniziali viene spesso notata da un familiare più che dal malato.
- Riduzione della capacità di eseguire compiti complessi o più attività nello stesso momento
LE TERAPIE FARMACOLOGICHE DISPONIBILI E
LE NOVITÀ DELLA RICERCA
Tradizionalmente la terapia farmacologia della Malattia di Parkinson si basa su molecole che aumentano i livelli di dopamina cerebrale o che si sostituiscono alla dopamina mancante.
Al primo gruppo appartiene la levodopa, un precursore della dopamina, al secondo gruppo appartengono gli agonisti dopaminergici, sostanze capaci di stimolare direttamente gli stessi recettori dopaminergici. Vi sono poi sostanze in grado di inibire gli enzimi responsabili della distruzione della dopamina: la classe degli inibitori delle monoaminossidasi B (MAO-B), di cui fanno parte selegilina e rasagilina, bloccando il metabolismo ossidativo della dopamina, ne aumentano la disponibilità cerebrale ed esercitano quindi un effetto sintomatico. Anche gli inibitori delle catecolossimetiltransferasi (COMT) permettono di ottimizzare l’azione della levodopa, aumentando i livelli di dopamina cerebrale. Tuttavia, questi farmaci, a differenza degli inibitori MAO, non sono efficaci se somministrati da soli. Accanto alla terapia farmacologia bisogna ricordare il ruolo crescente della terapia chirurgica (limitata però ad un piccolo gruppo di pazienti in una fase molto avanzata della malattia) e le terapie di supporto (attività motoria assistita, riabilitazione, etc.).
Esistono medicine per prevenire la malattia di Parkinson o che ne rallentino l’evoluzione?
Non esistono ad oggi farmaci o sostanze in grado di prevenire la malattia di Parkinson. Modificare il decorso di malattia rallentandone l’evoluzione è stato l’obiettivo di molti studi negli ultimi 20 anni. Molte sono state le molecole studiate e protocolli di studio impiegati ma nessuno ha dato un risultato positivo. Recentemente una molecola, la rasagilina, è stata studiata utilizzando un protocollo innovativo con
l’intento di dimostrare se questa molecola fosse in grado di modificare il decorso della malattia. Più di 1100 pazienti hanno partecipato a questo studio durato 18 mesi. I risultati sono stati positivi per la rasagilina impiegata somministrando invece 1 mg al giorno. Infatti a questa dose la molecola ha dimostrato di essere in grado di modificare il decorso di malattia. La stessa molecola impiegata al dosaggio di 2 mg al giorno non ha mostrato lo stesso risultato positivo. Benché i dati lasciano spazio a diverse interpretazioni, per la prima volta si è dimostrato indubbiamente che è possibile cambiare il decorso della malattia di Parkinson aprendo la strada a progetti futuri.
Questa domanda è carica di una notevole componente affettiva: la speranza che la cura nuova possa essere risolutrice, o quantomeno sia più efficace e quindi più valida delle altre cure già note ed in uso. Purtroppo questa attesa viene di solito ed almeno in parte non soddisfatta, in quanto fino ad oggi cure che siano in grado di fare regredire la malattia non esistono. La L-Dopa rappresenta sempre il farmaco più efficace per la terapia della malattia, per cui la scoperta di una nuova sostanza terapeutica non necessariamente deve fare pensare che sia vantaggioso ed utile adoperarla, ma va valutata, come sempre deve essere fatto, in rapporto alle esigenze del singolo individuo ed alle caratteristiche stesse della medicina. Peraltro la ricerca farmacologica e non solo quella, è sempre attiva, e negli ultimi anni sono state scoperte ed identificate nuove sostanze, che rappresentano un ausilio utile, e che costituiscono un arricchimento dell’armamentario terapeutico a disposizione del neurologo e del malato.
VIVERE CON LA MALATTIA DI PARKINSON
Affrontare la Malattia di Parkinson significa convivere con un ospite indesiderato che dà al malato la sensazione di non riuscire a controllare e governare i propri pensieri e le proprie azioni.
E’ indispensabile innanzi tutto che la persona affetta dalla malattia ricerchi un rapporto con il neurologo che lo segue, non solo medico prescrittivo; il paziente può così sentirsi seguito da una persona di fiducia, in grado di spiegare con facilità e chiarezza in che cosa consiste la malattia e che gli consenta di avere informazioni sulle terapie, sulle possibili complicanze e sul futuro che lo attende. Il ruolo del medico sarà inoltre fondamentale per dare le corrette e necessarie informazioni ai caregivers e per dare i suggerimenti più utili sullo stile di vita da adottare, le
abitudini sportive, gli hobbies e le attività collaterali da seguire e praticare con costanza e sul perché tali pratiche siano utili e necessarie.
Una volta avute queste informazioni, il paziente sarà facilitato nel suo approccio alla malattia e potrà certamente assumere un atteggiamento propositivo, positivo e combattivo.
Dopo aver capito le reali cause e conseguenze della malattia per il paziente, infatti, sarà più facile “accettare” di essere malato e mettere in atto i comportamenti utili a convivere al meglio con la patologia.
In particolare è necessario che il paziente venga a conoscenza del fatto che l’allenamento motorio e sportivo intensivo è in grado di stimolare ed indurre miglioramenti comportamentali e clinici mentre una vita sedentaria o stressante favorisce la progressione della disabilità clinica e della malattia. In sostanza i pazienti ad ogni stadio di malattia che non presentino controindicazioni, dovrebbero praticare l’esercizio motorio, quello cognitivo e attività ludiche e sviluppare progetti per gestire al meglio le conseguenza della malattia e rallentarne il decorso clinico.
Qualora un paziente non avesse la possibilità di praticare tali attività autonomamente e singolarmente sarà importante ed utile partecipare alle attività di gruppi organizzati, qualora fossero disponibili nel territorio.
E’ necessario, inoltre, sapere che la ricerca sulla malattia è in continua evoluzione e che quindi sarà possibile scoprire nei prossimi anni altri farmaci, ma soprattutto trovare strumenti utili a prevenire, a rallentare e bloccare il decorso della malattia.
In conclusione è fondamentale l’opera dell’informazione e allo stesso tempo di rassicurazione che deve essere condotta dal medico. Il parkinsoniano deve sapere che può contare sui consigli del medico, sulla sua esperienza e sulle sue capacità professionali e che il trattamento della malattia non è esclusivamente prescrittivo.
E’ necessario un supporto psicologico?
Questa domanda viene spesso posta dai parenti quando il malato presenta comportamenti di sofferenza psicologica, piange frequentemente, si rinchiude in se stesso, manifesta idee depressive o stati di ansietà.
La malattia determina conseguenze psicologiche importanti a tutti gli stadi, anche nelle fasi iniziali, quando i pazienti presentano stati ansioso-depressivi prevalentemente di natura reattiva, mentre nelle fasi intermedio avanzate si possono presentare stati ansioso-depressivi non puramente reattivi o altre conseguenze psicologiche e psichiatriche: disturbi del pensiero con deliri ed allucinazioni; disturbi del controllo degli impulsi quali il gioco patologico; disturbi della alimentazione, della
sessualità e del comportamento in genere e/o iniziali segni di decadimento cognitivo quali apatia e anedonia.
In generale una cattiva gestione dello stato psicologico e dei sintomi non motori del paziente può influenzare il controllo della sintomatologia motoria con conseguenti alterazioni significative della qualità della vita sia del paziente che dei familiari o caregivers. Non è infatti infrequente osservare un peggioramento: il cammino diventa più lento; il tremore si accentua per cause apparentemente banali, quali la visita di un amico, una cena al ristorante e uno stato di tensione emotiva o una situazione di stress di qualunque natura può, per esempio, accentuare un tremore ben controllato altrimenti dalla terapia. Il malato parkinsoniano, e non solo lui, va considerato nella sua interezza (possiamo dire corpo ed anima), come persona, per cui non è possibile separare il corpo e considerarlo uno strumento una macchina su cui agire, senza tenere conto dei suoi sentimenti, della sua intelligenza e dei suoi desideri. Infatti le interazioni che esistono tra il nostro organismo e la nostra mente, il nostro cervello, sono evidenti e note a tutti. In generale, quindi, un supporto psicologico di qualsiasi natura è consigliabile ed in taluni casi è assolutamente indispensabile per gestire al meglio le conseguenze della malattia. Oltre al supporto psicologico il malato deve essere anche rassicurato, informandolo che la malattia può essere ben trattata, che esistono farmaci utili per il controllo dei sintomi, che non esiste pericolo per la sua vita, che il decorso della malattia è molto lento. Laddove esistono poi difficoltà nelle relazioni interpersonali, soprattutto nell’ambito familiare, l’intervento dello psicologo potrà essere determinante e dovrà agire non solo sul malato ma anche su tutto il nucleo familiare. Infine il supporto psicologico e psichiatrico diventa una condizione indispensabile quando il paziente ed i familiari debbono affrontare le conseguenze di stati depressivi, dei disturbi del pensiero e del controllo degli impulsi che nel caso del gioco patologico possono avere conseguenze drammatiche per tutto il nucleo familiare.
Dopo la diagnosi è questa una domanda che ricorre con notevole frequenza ed è generata dalla convinzione largamente diffusa che la malattia di Parkinson sia una malattia sempre e comunque invalidante.
Un tempo, quando non esistevano terapie efficaci, la malattia poteva considerarsi rapidamente evolutiva poiché determinava la perdita di autonomia entro pochi anni con complesse complicanze oste-oarticolari dovute alla rigidità muscolare.
Oggi abbiamo a disposizione numerose medicine e ciò non si verifica più.
Infatti, anche se i farmaci dopaminergici non proteggono dalla progressione della malattia, hanno sicuramente contribuito a modificarne la sua evoluzione.
La terapia dopaminergica è in grado di contrastare i sintomi della malattia, permettendo una ottima qualità di vita e il malato può continuare la propria attività lavorativa, qualunque essa sia, per molti anni ancora.
Purtroppo, come detto, questi farmaci non fermano la progressione della malattia, nonostante la giusta impressione di un miglioramento o addirittura di un arresto della sua evoluzione.
Pertanto, dopo molti anni, compaiono nuovi problemi motori, ai quali è comunque possibile provvedere con nuove modalità di somministrazione dei farmaci come ad es. le infusioni intestinali o sottocute o con altri strumenti terapeutici come il “pace-maker cerebrale”.
La Fisioterapia e….. altro
Le persone con Parkinson avvertono difficoltà e impaccio nei movimenti, causate dalla rigidità muscolare e dal rallentamento motorio, oltre a lamentare spesso stanchezza, fatica e perdita generale di energia. Un aiuto a questi problemi può arrivare dalla fisioterapia classica come da una rieducazione motoria ottenuta in vario modo. “Muoversi” è in generale di grande beneficio, non solo sul piano fisico ma anche e soprattutto su quello psicologico. Il nostro corpo e il suo apparato locomotore sono perfetti per il movimento, quindi una buona e lunga camminata, “fa star bene” tutti, non solo i parkinsoniani.
In modo più specifico è utile che un paziente si sottoponga a cicli di fisiochinesiterapia (FKT) passiva quando la rigidità muscolare “blocca” le articolazioni e ne riduce la possibilità di movimento. Questo fatto produce frequentemente dolore locale, in particolare alla spalla. In queste sessioni sarà il fisioterapista ad applicare uno “stretching” passivo di allungamento muscolare, con particolare riguardo alle spalle, alle anche e al tronco. Particolare attenzione deve essere rivolta alla tensione muscolare della schiena che può dare dolore e deviazioni laterali o in avanti; in questo caso occorre intensificare la riabilitazione per ottenere un riallineamento posturale. Lo scopo di una seduta con il terapista della riabilitazione è anche quello di imparare l’ eserciziario che verrà poi eseguito a domicilio per 15-20 minuti al giorno con l’aiuto di un familiare. A casa sarà anche possibile fare esercizi di allungamento e di attivazione muscolare con il supporto di programmi video, con la periodica supervisione di un terapista.
Molto utile è la ginnastica attiva di gruppo, che può essere effettuata anche in un contesto di Musicoterapia Attiva con l’uso di strumenti musicali. Questa attività risponde anche allo scopo di far socializzare il paziente e al contempo di migliorarne il tono dell’umore. Molti pazienti ascoltano musica ritmica per sbloccare il movimento delle gambe; è il principio della “stimolazione ritmica uditiva” che viene applicato in contesti specifici per la riabilitazione del cammino con l’utilizzo di musiche rinascimentali. In queste registrazioni il ritmo musicale aumenta progressivamente facilitando il paziente ad aumentare il ritmo del passo. L’utilizzo della musica come sorgente esterna a sostegno del movimento trova campo in Biodanza e Danzaterapia (tango in particolare). Diverso è il principio della Musicoterapia Attiva dove il ritmo “terapeutico” non viene da “fuori” ma si genera “internamente” con l’utilizzo degli strumenti a percussione
E’ importante ricordare alcune regole generali:
1) la FKT funziona di più se il paziente è al meglio della terapia, quindi, nei pazienti con fluttuazioni motorie è opportuno che venga eseguita sempre in condizioni di “ON” terapia
2) alla fine di una sessione non bisogna essere affaticati, in questo caso occorre dire al fisioterapista di alleggerire il carico
3) evitare durante la giornata l’eccessiva sedentarietà
4) evitare di stare per lungo tempo con una postura flessa del tronco, del capo e delle spalle; se ad es. si pratica l’hobby dell’orto o del cucito, evitare di stare con la schiena china per troppe ore
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