Scoperto un processo chiave nel rigetto degli organi

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I risultati dello studio potrebbero aprire la strada all’adozione di più efficaci strategie per garantire la piena funzionalità degli organi trapiantati

Una nuova strategia terapeutica per evitare il rigetto di organi: potrebbe essere questo l’esito finale di un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science Signaling che ha individuato uno dei meccanismi biochimici che sono alla base di tale fenomeno.

Il gruppo ha focalizzato la propria attenzione sul restringimento dei vasi afferenti all’organo trapiantato che impedisce un corretto afflusso di sangue e può riportare il paziente nelle liste di attesa per un ulteriore trapianto.

“Il rigetto cronico è la prima causa di insufficienza organica, che colpisce il 40 per cento degli organi trapiantati entro i primi cinque anni dall’intervento e attualmente non abbiamo modo di evitarlo”, ha spiegato Elaine Reed, direttore dell’Immunogenetics Center dell’Università della California a Los Angeles (UCLA).

Precedenti ricerche di Reed e colleghi avevano mostrato come a essere a maggior rischio di rigetto siano i pazienti il cui sistema immunitario sviluppa anticorpi nei confronti degli antigeni leucocitari umani (HLA) del donatore.

In questo studio, la prospettiva è stata in un certo senso ribaltata e si è andati ad analizzare in che modo le molecole di HLA presenti nei tessuti del donatore provochino una risposta immunitaria nel paziente, esaminando in particolare in che modo gli anticorpi di quest’ultimo inneschino segnali che danno il via all’abnorme crescita delle cellule che rivestono le pareti interne dei vasi degli organi trapiantati. Si è così scoperto che in tale processo è implicata un’altra molecola, l’integrina beta 4.

“L’integrina permette alle cellule di sopravvivere e diffondersi, il che è essenziale per lo sviluppo tumorale”, ha aggiunto la Reed. “Ipotizziamo che l’integrina sia in grado di ‘dirottare’ gli HLA, assumendone le funzioni. Se si sopprime l’integrina, gli HLA non sono in grado di stimolare la crescita cellulare”.

Per converso, quando si è proceduto a sopprimere gli HLA, l’integrina non era più in grado di supportare la comunicazione tra le cellule e il loro ambiente. Ciò significa che nelle funzioni svolte dall’integrina, come il movimento cellulare, è richiesta l’azione anche degli HLA.

“Questo è il primo studio a mostrare il legame fisico e funzionale tra gli HLA e l’integrina”, ha concluso la Reed.

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