Dimostrato un ‘comune denominatore’ tra fame e dipendenza da stupefacenti

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SIN

LA SOCIETA’ ITALIANA DI NEUROLOGIA ANALIZZA LA RELAZIONE TRA  CERVELLO E CIBO


Roma 20 Dicembre 2010 – Ad ogni ricorrenza natalizia, si richiama l’attenzione di giovani, anziani e bambini sul problema della qualità e quantità di cibo assunto nel corso delle feste, del suo ruolo sociale e dei rischi per la salute. Ma quale è il reale meccanismo che richiama ciascuno di noi verso un bel piatto di lenticchie e cotechino piuttosto che verso una ricca porzione di panettone?

“Il controllo dell’assunzione del cibo avviene a livello del sistema nervoso centrale – spiega il prof. Paolo Maria Rossini della SIN, Società Italiana di Neurologia – e ciò ci permette di affermare che  esiste, quindi, una stretta relazione tra cibo e cervello. Già nei primi anni ’40 e poi ‘50 si era visto che la distruzione di alcuni nuclei ipotalamici determinava un aumento dell’appetito con conseguente obesità, mentre la lesione delle aree laterali dell’ipotalamo causava, al contrario, perdita dell’appetito. La stimolazione elettrica dell’ipotalamo – aggiunge il neuro scienziato – produceva effetti opposti. In realtà, non esistono dei veri e propri centri della fame e della sazietà, ma dei complessi circuiti neuronali appartenenti a strutture cerebrali diverse che svolgono tali funzioni.”

Numerosi studi internazionali hanno dimostrato che il cibo sia un potenziale oggetto di dipendenza psicofisica, in particolare i cibi salati, o i cibi ad elevato contenuto di zuccheri semplici, di grassi, o ancora, di combinazione tra i due (Corsica & Coll Curr Opin Gastroenterol, 2010). Sono state dimostrate forme di dipendenza da zucchero molto simili, nell’espressione, ai casi di dipendenza da sostanze stupefacenti (Avena, 2007).

La serie di studi sulla relazione tra Cervello e cibo non si esaurisce qui – ha aggiunto il prof. Antonio Federico, Presidente SIN, e responsabile insieme al gruppo di studio della Società Scientifica, di questa accurata ricerca: esistono, infatti, studi che dimostrano che il cibo non deve necessariamente essere “palatabile” per divenire oggetto di dipendenza (Pelchat e Schaeffer, 2000). Altri studi ci spiegano il cosiddetto food craving, ovvero il desiderio intenso di cibo, compulsivo ed istintivo, molto comune, soprattutto nei giovani adulti. Si tratta di una risposta edonica al cibo, intensa e specifica, spesso, ma non sempre associata ad una maggiore assunzione di alimenti. La dieta ipocalorica o la restrizione nell’assunzione di cibo in generale tende ad aumentare il desiderio di cibo, mentre il digiuno tende a ridurlo.

“In realtà, la maggior parte delle persone sperimenta, almeno una volta nella vita, l’urgenza di ingerire uno specifico alimento – ha commentato il professor Federico,ma solo per una piccola parte di loro tale desiderio risulta irrefrenabile con conseguenze emotive e comportamentali (Hill 2007). Ad esempio, il 60% circa delle donne adulte presenta episodi di forte desiderio di cibo, in particolare durante la gravidanza, ma non solo. E nel 20% circa dei casi tale desiderio risulta difficilmente controllabile (Gendall e collaboratori 1997).

Questo fenomeno è stato studiato mediante risonanza magnetica funzionale ed è stata riscontrata un’attivazione di alcune aree cerebrali, il nucleo caudato, l’ippocampo e l’insula, quando i soggetti sperimentavano un desiderio irrefrenabile di un determinato alimento dopo deprivazione dello stesso (Pelchat 2001). Si tratta delle stesse aree che si attivano nei tossicodipendenti nelle fasi di ricerca della sostanza d’abuso.

L’assunzione di cibo causa modificazioni biochimiche, anch’esse in alcuni casi paragonabili a quelle indotte dall’assunzione di droghe. Ad esempio a seguito dell’ingestione di cibo si osserva un aumentato rilascio di dopamina a livello cerebrale simile all’aumento conseguente l’uso di cocaina. Negli obesi, così come nei tossicodipendenti, è stata dimostrata una ridotta sensibilità alla dopamina stessa ed al suo effetto appagante. Alcuni cibi, quali lo zucchero, determinano anche un rilascio di oppioidi oltre che di dopamina, il che potenzia il loro effetto di gratificazione. Per esempio: le capacità della cioccolata di elevare l’umore è legata alle sue concentrazioni di anandamina, caffeina, feniletilamina e magnesio. Vi è un incremento delle endorfine, e questo è il più plausibile meccanismo per l’elevazione del tono dell’umore.

La Società Italiana di Neurologia conta tra i suoi soci più di 3000 specialisti neurologi ed ha lo scopo istituzionale di promuovere in Italia gli studi neurologici, finalizzati allo sviluppo della ricerca scientifica, alla formazione, all’aggiornamento degli specialisti e al miglioramento della qualità professionale nell’assistenza alle persone con malattie del sistema nervoso.

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