I generici in Italia: dopo dieci anni, li utilizzano 10 pazienti su 100

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Un libro, presentato oggi in un convegno a Milano, ripercorre le tappe fondamentali della storia del farmaco unbranded nel nostro Paese, attraverso la testimonianza diretta dei suoi protagonisti. Nel 2001 solo 1 paziente su 100 lo utilizzava, oggi è 1 su 10. Solo per il 13% dei principi attivi in commercio in Italia è anche disponibile il corrispettivo generico.

Milano, 13 dicembre 2010 – Oggi in Italia 1 cittadino su 10 sceglie di acquistare il farmaco generico garantendosi, a parità di sicurezza ed efficacia, un sensibile risparmio. Un risultato incoraggiante, se si considera che dieci anni fa, quando questi medicinali erano appena stati introdotti nel nostro Paese, solo 1 paziente su 100 li utilizzava. Oggi solo per il 13% dei principi attivi in commercio esiste il generico corrispondente, come alternativa per il paziente. Eppure, in dieci anni, si è passati da 17 milioni di confezioni di generici vendute ai 189,47 milioni del 2009.

Questi sono solo alcuni dei dati che emergono dal nuovo volume “Farmaco Generico, un cammino lungo dieci anni. I protagonisti si raccontano”, che ripercorre la storia dei medicinali unbranded dal loro ingresso ufficiale in Italia, con la legge 405 nel 2001, fino ai giorni nostri. Realizzata nell’ambito della collana “I libri de Il Sole 24 Ore Sanità”, con il patrocinio di Assogenerici e il contributo incondizionato di Teva-ratiopharm, la pubblicazione è a firma di Massimo Cherubini, Francesca Giani e Michele Uda ed è stata presentata oggi a Milano, durante un convegno cui hanno partecipato rappresentanti dell’Antitrust, dell’industria, della comunità scientifica e delle Associazioni consumatori.

Una storia, quella del farmaco generico nel Bel Paese, spesso contrastata e difficile, contrassegnata da uno sviluppo lento ma costante. Siamo però ancora lontani dalla media di utilizzo europea, secondo cui  5 pazienti su 10 si curano con questi medicinali.

“I farmaci generici hanno avuto un percorso molto faticoso in Italia, per la presenza di leggi che hanno allungato il periodo della brevettabilità per molti medicinali”, ha esordito Silvio Garattini, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. “Inoltre il nome di ‘farmaco generico’ pone dubbi e difficoltà. Infine, gli interessi delle industrie che producono farmaci con brevetto cercano di screditare i medicinali generici, come se fossero farmaci di serie B. In realtà, è dimostrato che i prodotti generici sono comparabili ai prodotti di marca”.

Gli sforzi per creare una cultura del generico sono stati molti, a partire dal cambio di nome in “equivalenti” – voluto dalla legge Storace del 2005, per accreditare meglio questa categoria di farmaci – fino alle campagne di informazione ministeriali del 2001 e quella dell’AIFA del 2007, alla quale hanno partecipato anche le Associazioni a difesa del paziente.

“La situazione è sicuramente cambiata rispetto a dieci anni fa – ha spiegato Giorgio Foresti, Presidente e Amministratore Delegato di Teva Italia nonché Presidente di Assogenerici – e oggi in alcune importanti aree terapeutiche, come quella cardiovascolare, i farmaci betabloccanti generici toccano quota 20% a volumi. Se consideriamo la classe degli inibitori di pompa, tra cui il lansoprazolo, arriviamo al 30%. I cittadini hanno ormai preso coscienza che si tratta di medicinali di qualità elevata e, in più, convenienti: credo che gli italiani siano ormai culturalmente preparati al generico; in un certo senso, sono ora più ‘pronti’ dei loro stessi medici. È una realtà con la quale i prescrittori dovrebbero confrontarsi al più presto”.

La conferma arriva dal 44esimo Rapporto Censis, che attesta come oltre la metà degli italiani (il 53,3%) abbia intensificato nel 2009 il ricorso ai farmaci fuori brevetto, ormai consapevole del risparmio che queste opzioni terapeutiche sono in grado di offrire.

E qual è l’atteggiamento dei medici di base nei confronti di questi prodotti? Nel primo semestre 2010, il 15,3% dei medicinali su prescrizione rimborsati dal SSN (classe A) è stato unbranded, con punte del 18,7% in Emilia, per arrivare al 22,4% nella Provincia Autonoma di Trento. Emerge ancora un notevole divario tra Nord e Sud Italia, dove troviamo Regioni meno virtuose come la Calabria (10%), o la Campania (11%)[1].

La situazione, comunque, dovrebbe migliorare ulteriormente, nei prossimi due anni: entro il 2013, scadranno i brevetti di numerosi altri farmaci etici, consentendo così l’introduzione di nuovi medicinali equivalenti sul mercato.

“Per il medico – ha spiegato Claudio Cricelli, Presidente della Società Italiana di Medicina Generale – non esistono farmaci vecchi e nuovi, ma solo farmaci efficaci. La scadenza brevettuale, se riguarda farmaci noti ed efficaci, conferisce uno straordinario valore aggiunto a prodotti medicinali di comprovata efficacia. La diminuzione di prezzo moltiplica infatti il valore dei farmaci equivalenti. Possiamo permetterci di curare le stesse condizioni cliniche ad un prezzo di gran lunga inferiore. Si liberano risorse per l’innovazione  terapeutica, si consente al sistema di sostenere il carico della cronicità e della popolazione anziana. Se è consentito un parallelo, possiamo continuare a godere della lettura dei classici, che sono per definizione intramontabili, in edizione economica con una piccola spesa”.

“È necessario – ha continuato Foresti – promuovere ancora l’utilizzo del generico, perché il risparmio che si prospetta nei prossimi anni per il SSN, ma anche per il cittadino, è notevole. Dobbiamo sviluppare una vera cultura del farmaco equivalente, educando e informando i consumatori, i medici e i farmacisti. La sfida va affrontata con una visione sinergica e un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. Anche le aziende del comparto ritengo debbano dare il proprio contributo. Con l’acquisizione di ratiopharm, Teva è diventata leader del settore e ora è chiamata ancor più a contribuire alla diffusione di una corretta informazione sul tema, per garantire ai cittadini l’accesso alle cure essenziali, nel rispetto dei tetti stabiliti per la spesa farmaceutica. E’ con questo obiettivo che abbiamo voluto offrire il nostro supporto alla realizzazione del libro presentato oggi”.

“L’introduzione del farmaco equivalente in Italia – ha dichiarato Andrea Mandelli, Presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani – ha rappresentato un momento di innovazione e di riallineamento al resto d’Europa, di cui il farmacista è stato senz’altro un protagonista, a cominciare dall’opera quotidiana di educazione del paziente. Evidentemente, il settore non ha ancora espresso le potenzialità dimostrate negli altri Paesi avanzati. Per raggiungere questo obiettivo, occorre una politica del farmaco capace di incentivare le scelte virtuose, ma anche di destinare i frutti della razionalizzazione della spesa a favore della ricerca e dell’innovazione interne al comparto del farmaco. Un Paese avanzato ha bisogno degli equivalenti per fronteggiare l’aumento della spesa, determinato in primo luogo dall’invecchiamento della popolazione, ma anche di promuovere e sostenere la ricerca di nuovi farmaci, capaci di rispondere alla crescente domanda di salute”.


[1] Fonte: Elaborazione Centro Studi Assogenerici su dati IMS Health Sfera, primo semestre 2010.

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