Alzheimer: il meccanismo della formazione placche amiloidi
Basta un piccolo errore nella sequenza di processi di ripiegamento per rendere la proteina altamente instabile beta-2 micro-globulina.
Un passo decisivo per la ricerca sulle patologie che coinvolgono la formazione di placche beta amiloidi è stato compiuto dai ricercatori dell’Università di Leeds, che hanno scoperto la reazione che dà il via alla formazione delle fibre amiloidi.
Le fibre amiloidi, implicate in un ampia gamma di patologie, si formano quando le proteine si srotolano e si legano tra loro in lunghe strutture fibrose. Finora tuttavia rimanevano oscuri i primi meccanismi che causano lo srotolamento a catena delle proteine di partenza.
“Il nostro obiettivo era quello di scoprire che cosa rende una proteina perfettamente normale una proteina che va incontro con alta probabilità all’aggregazione in placche: se si riuscisse ad arrestare il primo evento scatenante si aprirebbe una strada interessante per nuove strategie terapeutiche”, ha commentato Sheena Radford, professoressa di biologia molecolare dell’Università di Leeds.
Il gruppo per prima cosa ha dovuto produrre una proteina denominata beta-2 micro-globulina che, quando ripiegata in modo particolare riveste un ruolo importante nella formazione delle fibre amiloidi. Queste fibre in particolare colpiscono i pazienti affetti da insufficienza renale, dal momento che producono depositi che vanno ad accumularsi nelle articolazioni.
“I reni funzionanti si sbarazzano della microglobulina beta-2″, ha spiegato la Radford, primo autore dell’articolo di resoconto apparso sulla rivista Molecular Cell. “Ma se i reni non funzionano in modo corretto, si può arrivare all’accumulo della proteina, che può portare all’amiloidosi dialisi-correlata, che può essere molto dolorosa.”
I ricercatori poi hanno “risolto” la struttura della variante con il ripiegamento anomalo di microglobulina beta-2, scoprendo così le proprietà che inducono le altre proteine ad andare incontro allo stesso ripiegamento anomalo e a diventare esse stesse amiloidogeniche.
Utilizzando tecniche di risonanza magnetica nucleare per ottenere immagini 3D in alta risoluzione, si è riusciti a dimostrare che basta un piccolo errore nella sequenza di processi di ripiegamento per rendere la proteina altamente instabile, molto eccitabile e dinamica. Con ciò aumenta la probabilità di legame con altre proteine che a sua volta influenza la loro struttura e dà il via a una cascata di processi di aggregazione.
“Abbiamo osservato che la proteina mutata entra in contatto con le altre, si legano a esse deterninando una loro variazione strutturale, che le porta a essere amiloidogeniche”, ha concluso Radford. “Si tratta di un enorme passo in avanti non solo per i pazienti nefropatici, ma per la nostra comprensione fondamentale di come le fibre amiloidi si possano formare anche in altre patologie. Molte patologie amiloidi sono dovute a variazioni conformazionali e occorrerà verificare se simili variazioni avvengano anche con altre proteine”.