Il ritmo dei neuroni che aiuta la memoria

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Come il metronomo batte il tempo per chi suona il pianoforte, dandogli il ritmo giusto, cosi’ fanno alcuni tipi di neuroni, detti inibitori. Il loro compito infatti, all’interno della comunicazione neuronale del cervello, e’ quello di intervenire dando delle pause a intervalli ritmici, modulare cioe’ la frequenza delle scariche elettriche che costituiscono il loro linguaggio.


Una funzione molto importante: se si fermano o si ‘inceppano’ infatti, a risentirne e’ la cosiddetta working memory, cioe’ la memoria che ci consente di svolgere dei compiti e ricordare informazioni per breve durata.

A scoprire il ruolo di questi ‘neuroni metronomo’ sono stati alcuni ricercatori dell’universita’ di Friburgo, di Aberdeen e dell’Imperial College di Londra, il cui studio e’ stato pubblicato sulla rivista ‘Neuroscience’. Un risultato raggiunto studiando la memoria dei topi.

In particolare gli scienziati hanno visto che la memoria di lavoro funzionale e’ strettamente collegata alle cellule neuronali inibitorie, mentre la memoria spaziale opera indipendentemente da questi metronomi neuronali, che si trovano nell’ippocampo, area cerebrale centrale per la formazione della memoria spaziale. ”L’ippocampo – spiega Piergiorgio Strata, presidente dell’Istituto nazionale di neuroscienze – funziona come un ufficio smistamento pacchi, dove vengono messe insieme le informazioni per consolidare la memoria”.

E’ possibile distinguere due diversi tipi di memoria: la working memory che e’ provvisoria, e la memoria di consolidamento. ”La memoria provvisoria e’ quella che ci fa ricordare un numero di telefono – precisa Strata – che poi ci dimentichiamo se nel mentre ci chiedono l’ora. Dura 1-2 ore a differenza dell’altra di consolidamento. Fino ad ora pero’ non si sapeva bene che base avesse”. Se si blocca quindi l’attivita’ dei neuroni inibitori, come hanno fatto i ricercatori nello studio, si interrompe il ritmo della comunicazione interneuronale, ”perche’ le scariche elettriche diventano irregolari – aggiunge Strata – e la working memory ne soffre”.

Difatti i topi, posti di fronte a semplici compiti, hanno iniziato a sbagliare, molto piu’ degli altri che avevano i neuroni non bloccati. La degenerazione di questi interneuroni e le disfunzioni nella memoria provvisoria ”erano state osservate finora nella corteccia prefrontale di chi soffre di schizofrenia – conclude Strata – e in chi ha assunto droga per lungo tempo. Ora si sa che anche l’ippocampo e’ importante per mantenere questa memoria”. Secondo i ricercatori inoltre la schizofrenia puo’ essere in parte ricondotta a un cambiamento nella funzione di questi neuroni nell’ippocampo. (ANSA).

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