La cultura e’ considerata la miglior cura per la salute cerebrale
La cultura è il miglior farmaco per il cervello. Nuovi dati dimostrano infatti che per tenere in forma e in salute la mente bisogna allenarla, soprattutto migliorando il proprio livello di istruzione. Una ricerca dell’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma ha documentato l’effetto positivo dello studio sull’integrità del cervello, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, in particolare dell’ippocampo, con vantaggio della memoria. Al grado di istruzione scolastico vanno aggiunte le attività svolte durante l’arco della vita, nonché il tipo di lavoro, l’impegno mentale quotidiano e le attività ricreative: è l’insieme di questi fattori che ha un effetto protettivo del nostro cervello.
Lo studio, tutto italiano, si è guadagnato la copertina della rivista internazionale sulle neuroimmagini ‘Human Brain Mapping’. Un’accreditata teoria – quella della riserva neuronale – da tempo sostiene che un individuo maggiormente scolarizzato e con un più alto livello di istruzione, quindi più impegnato mentalmente, è in grado di creare una sorta di riserva cognitiva che protegge il cervello dai danni causati dai processi legati all’invecchiamento, come accade nella malattia di Alzheimer. In altri termini, l’allenamento allo studio e il livello culturale permetterebbero di accumulare un ‘patrimonio’ mentale più ingente (sia da un punto di vista della struttura cerebrale che da quello dei contenuti), che poi viene eroso più lentamente dai fenomeni legati all’invecchiamento cerebrale fisiologico e patologico.
Tuttavia, la ricerca svolta in questo settore finora aveva sempre avuto il limite di fornire una misura piuttosto grezza di questa riserva di ‘giovinezza mentale’, limitandosi solitamente a valutare l’intero volume cerebrale. Inoltre, non era stata localizzata con precisione l’area in cui agisce il processo protettivo. Ora la ricerca della Fondazione Santa Lucia, utilizzando la tecnica di risonanza magnetica denominata Diffusion Tensor Imaging (DTI), ha finalmente contribuito a fare luce su questi punti ancora oscuri.
Per l’indagine sono state reclutate 150 persone sane di età compresa tra i 18 e i 65 anni ed è stato chiesto loro di eseguire un complesso e innovativo esame con risonanza magnetica ad alto campo (3 tesla) che permette la misurazione di fini variazioni strutturali dei tessuti cerebrali. Uno dei parametri che è stato possibile estrarre analizzando le immagini così ottenute è la mean diffusivity, una misura del movimento delle molecole d’acqua all’interno del cervello che può essere considerata un indice qualitativo della struttura cerebrale. Dai risultati è emersa una correlazione tra questo parametro e gli anni di istruzione scolastica.
Le persone con un alto livello di studio hanno mostrato una maggiore compattezza strutturale nell’ippocampo. Tale area del cervello, situata nella parte mediale del lobo temporale, svolge un ruolo fondamentale nei processi di memoria a lungo termine ed è una delle prime strutture a degradarsi durante le fasi iniziali della malattia di Alzheimer. “Per la prima volta siamo riusciti a determinare il luogo all’interno del cervello in cui una più ricca attività mentale avvia dei meccanismi protettivi nei confronti della neurodegenerazione”, spiega lo psichiatra Gianfranco Spalletta che ha coordinato lo studio. “Il nostro lavoro conferma in modo chiaro quello che nel mondo scientifico viene ripetuto da anni: studiare e stimolare la mente allena il cervello e lo mantiene giovane”, sottolinea Fabrizio Piras, psicologo e ricercatore.
“Tutto ciò ci conforta – aggiunge Carlo Caltagirone, neurologo e psichiatra – perché ci permette di avere una posizione realisticamente meno nichilista e di non ritenere ineluttabile la decadenza cognitiva, anche nei confronti di eventi come l’invecchiamento del cervello e delle malattie neurodegenerative, compresa la demenza di Alzheimer. Come si è visto, allenare con lo studio il cervello e la mente gioca un ruolo non secondario nella capacità di resilienza all’invecchiamento naturale e alle patologie neurodegenerative”.