Il caos violento del Lupus: sarebbero i neutrofili ad innescare la risposta autoimmune
Secondo due studi Usa, sono i complessi di Dna e proteine a dare il via alla produzione di interferon ed alla risposta autoimmune che porta all’infiammazione soprattutto di reni, pelle e polmone. Un passo avanti verso diagnosi più rapide e precise e verso cure mirate.
Sarebbero i neutrofili a innescare la risposta autoimmune che si osserva nei pazienti affetti da Lupus eritematoso sistemico (Les), una malattia che colpisce circa 60 mila italiani. A riportare la scoperta sono due studi pubblicati su Science Translational Medicine che mostrano come queste cellule attivino una cascata di processi da cui deriva il “caos violento del Lupus”, come lo definiscono gli autori stessi. Entrambe le ricerche, oltre a determinare il ruolo di questi globuli bianchi nei primi momenti della patogenesi, sottolineano ancora di più l’importanza di un altro attore fondamentale, l’Interferon-alfa, e aprono le porte allo sviluppo di interventi terapeutici più efficaci.
Il Lupus eritematoso sistemico è una malattia cronica complessa la cui caratteristica principale è la presenza di autoanticorpi. Nei pazienti, infatti, i linfociti B producono anticorpi specifici per riconoscere il nostro stesso Dna, per lo più rilasciato da cellule morenti. I complessi Dna/anticorpo, a questo punto, attivano un processo di infiammazione localizzato che ha come conseguenza il danneggiamento di organi e tessuti, soprattutto di reni, pelle e polmoni.
Qualche anno fa si era scoperto che un ruolo centrale nell’origine del Lupus lo hanno alcune cellule dendritiche specializzate nella produzione di interferon-alfa, potente molecola capace di attivare il sistema immunitario, tra cui indirettamente anche i linfociti B. Tuttavia, le cause scatenanti dell’attivazione di queste cellule non erano ancora state delineate. Se infatti era chiaro che, oltre a predisposizioni genetiche, serviva la presenza di un fattore esterno (come ad esempio un’infezione batterica o virale) per avviare una prima risposta immunitaria benevola, era ancora completamente oscuro come questo meccanismo di difesa perdesse il controllo, ritorcendosi letteralmente contro l’organismo.
Le due ricerche del Baylor Institute (Dallas) e dell’Università del Texas (Houston) – a cui hanno partecipato anche studiosi dell’Istituto superiore di sanità e della Sapienza di Roma – hanno mostrato che a spingere le cellule dendritiche alla produzione di interferon-alfa sono dei complessi rilasciati dai neutrofili che vanno incontro a un particolare meccanismo di morte cellulare, la NETosi. A differenza del normale processo di morte cellulare (l’apoptosi), durante la NETosi i neutrofili rilasciano grandi quantità di Dna rivestite di molecole antimicrobiche (i NET, ovvero trappole extracellulari dei neutrofili). I complessi vengono riconosciuti dalle cellule dendritiche come un segnale di allarme e iniziano a produrre l’interferon.
“In condizioni normali, i NET servono come delle vere e proprie trappole per bloccare batteri o altri patogeni”, ha spiegato Virginia Pascual, autrice dello studio del Baylor Institute. “Nei pazienti con Les, invece, questo stesso meccanismo di difesa porta all’attivazione smisurata delle cellule dendritiche con il conseguente innalzamento dei livelli di interferon e tutti i fenomeni che ne derivano”. In tal modo, si avvia un circolo vizioso dove neutrofili, interferon e autoanticorpi si stimolano l’un l’altro e portano alla formazione del processo infiammatorio che danneggia organi e tessuti.
Oltre a comprendere i meccanismi alla base di questa malattia, la scoperta potrebbe rappresentare un notevole passo in avanti anche in campo diagnostico e terapeutico. Il gruppo di ricerca dell’Università del Texas, infatti, sta già verificando se alcune delle proteine antibatteriche che formano i NET possano essere usate per diagnosticare più efficacemente il Lupus. “E’ una delle malattie più difficili da riconoscere”, ha continuato Pascual. “Per arrivare a una diagnosi bisogna controllare ben undici diversi criteri, che sono condivisi anche da altre patologie. Per questo sarebbe importante avere una via più semplice per comprendere se un paziente ha o meno il Lupus”.
Secondo Joseph Craft, ricercatore presso la Yale University, aver completato il quadro patogenico dà il via allo sviluppo di terapie più mirate. “Oggi il più delle volte i pazienti vengono trattati con potenti farmaci immunosoppressivi che hanno diversi effetti collaterali”, ha spiegato Craft. “Ora che sappiano che i neutrofili hanno un ruolo fondamentale nella produzione di interferon possiamo pensare a terapie mirate contro di loro in grado di bloccare i primissimi passaggi della malattia”.