Infarto: un nuovo e sensibilissimo test ematico per prevenirlo

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La nuova metodica ha permesso di dimezzare il rischio di morte per infarto o il secondo ricovero di pazienti con angina pectoris

Un nuovo test ematico molto sensibile in grado di identificare un infarto in migliaia di casi che altrimenti non verrebbero diagnosticati è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Edimburgo.

Lo studio, ora pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA), ha preso in considerazione i dati di 2000 pazienti ricoverati presso il Royal Infirmary di Edimburgo per angina pectoris e sospetto attacco di cuore.

Secondo i risultati raccolti, dopo l’introduzione del test nella pratica clinica dell’ospedale, si è dimezzata la percentuale di pazienti che hanno avuto bisogno di un secondo ricovero nella struttura o che sono morti di infarto. Più in particolare, i dati mostrano come i pazienti avevano una maggiore probabilità di essere visitati dallo specialista e di ricevere il migliore trattamento.

Convenzionalmente, quando i pazienti arrivano in pronto soccorso con dolore al petto, viene loro effettuato il test della troponina, una proteina che viene rilasciata quando le cellule del tessuto muscolare vengono danneggiate da un insufficiente apporto di sangue.

In quest’ultimo studio, i ricercatori hanno valutato l’utilità di un test per la troponina molto più sensibile, in grado di rilevare concentrazioni della proteina quattro volte più basse rispetto ai test convenzionali e quindi di individuare pazienti con danni ai tessuti cardiaci di lieve entità.

“Sfortunatamente, l’uso di una soglia diagnostica superata per la troponina continua a essere diffuso, e un suo abbassamento rimane molto controvero nella comunità medica”, ha spiegato Nicholas Mills, della British Heart Foundation Centre for Cardiovascular Science.”Abbiamo fornito l’evidenza scientifica che l’adozione di una soglia inferiore per la diagnosi di un danno al muscolo cardiaco è appropriata e che consentirà una notevole miglioramento della prognosi di pazienti con dolore al petto e sospetto infarto del miocardio”.

“La differenza sarebbe sensibile – ha continuato il ricercatore – non per i pazienti con infarto maggiore ma per quelli con un danno cardiaco limitato, che attualmente sfuggono alla diagnosi”.

 

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