Infezioni batteriche: chiarito il meccanismo chiave

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Gli studi sono ora diretti alla ricerca di composti che possano ridurre la quantità di KLF2 nella prima fase dell’infezione e di altri che possano elevarla nella seconda fase.

Le infezioni rappresentano una delle principali cause di morte nelle unità di cura intensiva degli ospedali: per cercare di mitigare questo problema i ricercatori della Case Western Reserve University School of Medicine hanno messo a punto una tecnica di manipolazione di un fattore genetico in grado di indurre una risposta efficace da parte dell’organismo.

“Attualmente le terapie per la sepsi sono molto limitate”, ha spiegato Mukesh K. Jain, direttore del  Case Cardiovascular Research Institute, e professore di medicina della Case Western Reserve University School of Medicine e direttore dei ricerca dell’Harrington-McLaughlin Heart & Vascular Institute presso lo University Hospitals Case Medical Center.

Gli studiosi hanno scoperto che stimolando in modo indiscriminato il sistema immunitario in realtà si può aumentare la gravità delle condizioni del paziente: quando un paziente soffre di una sepsi allo stadio terminale, occorre paradossalmente impedire che il sistema immunitario possa determinare un shock e quindi la morte.

Secondo quanto esposto in un articolo sulla rivista Immunity, la chiave per migliori terapie della sepsi è sapere quando attivare e quando disattivare il fattore di trascrizione di Kruppel di tipo 2 (KLF2).

All’interno delle cellule immunitarie chiamate macrofagi, il KLF2 regola le attività cellulari secondo i segnali dell’ambiente interno. Normalmente, il fattore mantiene le cellule immunitarie in uno stato quiescente; durante la prima fase dell’infezione, quando il batterio comincia in suo attacco, i risultanti bassi livelli di ossigeno e l’alta quantità di prodotti batterici determinano una riduzione del livello di KLF2. Quest’ultima a sua volta determina il rilascio da parte dei macrofagi di sostanze che uccidono i batteri.

Ma quando la sepsi entra nella seconda fase, caratterizzata da bassa temperatura corporea e bassa pressione, danno ai tessuti e agli organi, le difese interne dell’organismo sono pericolose perché  promuovono un’infiammazione che può causare shock e morte.

“In questa fase occorre promuovere l’azione del KLF2 e calmare quest’infiammazione senza controllo”, ha aggiunto Jain.

Il corpo, tuttavia, non fa questo in modo naturale: i ricercatori non sanno perché, ma sospettano che l’ipossia continuata e la presenza di prodotti batterici in circolo mantenga bassi i livelli di KLF2.

La ricerca si basa su una scoperta dello stesso laboratorio di Jain del 2006 del KLF2 nei macrofagi.  In questo nuovo studio, i test hanno mostrato che i topi mancanti di KLF2 riuscivano a superare in modo efficace le infezioni polimicrobiche nella prima fase dell’infezione. Nell’ultima fase, per contro, gli stessi animali avevano una maggiore mortalità e morivano in più giovane età. L’analisi di campioni di sangue raccolti da pazienti ricoverati in ospedale e colpiti da sepsi mostravano lo stesso fenomeno.

Il gruppo è ora alla ricerca di composti che possano ridurre la quantità di KLF2 nella prima fase dell’infezione e di altri che possano elevarla nella seconda fase.

Il gruppo di Jain, così come altri, ha trovato che le statine, la classe di farmaci utilizzati per ridurre i livelli di colesterolo, e il resveratrolo, la sostanza presente nel vino rosso che si ritiene possa elevare i livelli di colesterolo buono, possano essere utili per combattere le sepsi. Il gruppo di Jain ipotizza che la risposta dei pazienti sia influenzata anche dai tempi di somministrazione di tali terapie.

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