Per combattere la fibrillazione atriale ci vuole polso

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Basta un semplice gesto per rilevare un battito cardiaco irregolare, spia di una eventuale aritmia come la Fibrillazione Atriale: “sentire” il polso del paziente. Da una documento presentato da un Gruppo di Lavoro di esperti a livello internazionale all’Unione Europea, una serie di raccomandazioni per dar vita a campagne di sensibilizzazione per ridurre il rischio di ictus in pazienti affetti da Fibrillazione Atriale.

Palermo, 24 maggio 2011 – Garantire una migliore diagnosi e gestione della fibrillazione atriale e più efficaci misure per prevenire l’ictus collegato ad essa. Queste le principali raccomandazioni contenute nel documento, realizzato con il contributo non condizionato di Bayer, che un Gruppo di Lavoro internazionale costituito da Medici Specialisti, Membri di Società Scientifiche e Rappresentanti di Associazioni Pazienti ha presentato recentemente al Parlamento Europeo per sensibilizzare la classe politica nei confronti della prevenzione dell’ictus attraverso la gestione delle più severe cause di rischio come la fibrillazione atriale.

 

Il documento è stato presentato per la prima volta in Italia nell’ambito del Forum del Mediterraneo in Sanità in corso a Palermo fino al 26 maggio presso il Teatro Politeama, in occasione di una Tavola Rotonda svoltasi oggi dal titolo: “Appropriatezza dei percorsi assistenziali nelle patologie cardiovascolari – Prevenzione dell’ictus”.

 

La fibrillazione atriale è una frequente anomalia del ritmo cardiaco a causa della quale il sangue, non pompato più correttamente, ristagna all’interno delle camere superiori del cuore (gli atri), favorendo la formazione di trombi che, se entrano nel circolo sanguigno, possono arrivare al cervello e provocare un ictus cerebrale. Attualmente si stima che in Europa oltre 6 milioni di persone siano affetti da questa patologia, anche se ci si aspetta un’ulteriore crescita, in quanto legata all’invecchiamento della popolazione.

 

Questa aritmia cardiaca è causa del 15-20% di tutti gli ictus trombo embolici, il disturbo cardiovascolare più comune dopo le cardiopatie, che colpisce 9,6 milioni di persone in Europa, con un’incidenza di 2 milioni di soggetti l’anno e che comporta una spesa sanitaria complessiva all’interno dell’Unione Europea di oltre 38 miliardi di euro l’anno. Inoltre, gli ictus collegati a fibrillazione atriale sono più gravi, provocano invalidità maggiori e sono associati a un aumento del 70% del tasso di mortalità rispetto agli eventi che colpiscono chi non ne è affetto.

 

“Per una corretta diagnosi della fibrillazione atriale, il gesto più semplice che un medico dovrebbe fare, ma che raramente viene effettuato, è la rilevazione del polso del paziente, per verificare la presenza di alterazioni del ritmo cardiaco – ha dichiarato la Dottoressa Maddalena Lettino, del Dipartimento di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia, componente del Gruppo di Lavoro Internazionale autore del documento – Nonostante sia una patologia assai diffusa, che può portare a complicanze molto severe, la fibrillazione atriale è ancora sotto diagnosticata e sotto trattata. In molti casi è asintomatica – continua Maddalena Lettino – per questo vi è un ritardo nella diagnosi, che, secondo una recente indagine internazionale, è di circa 2,6 anni. Ritardo che espone il paziente a gravi rischi”.

 

La gestione efficace della fibrillazione atriale, da un lato mira a controllare il ritmo e la frequenza, con farmaci specifici, dall’altro tende a prevenire la formazione di coaguli attraverso una terapia antitrombotica (antagonisti della vitamina K o acido acetilsalicilico) che, se avviata per tempo e monitorata correttamente, ha un’efficacia elevata, con una riduzione del rischio di ictus di circa i due terzi.

 

Il gold standard della profilassi farmacologica è rappresentato da anticoagulanti orali antagonisti della vitamina K, che presentano, tuttavia, alcune difficoltà di gestione per le molteplici interazioni con alimenti o con altri farmaci che ne variano l’assorbimento e per l’alta variabilità di risposta inter-individuale. La conseguenza più importante è l’impossibilità di stabilire un dosaggio fisso e la necessità di frequenti controlli ematologici per un eventuale aggiustamento del dosaggio. Per questi motivi, tali farmaci non vengono usati con regolarità o vengono troppo spesso abbandonati dai pazienti.

 

Ma il problema non è solo una scarsa aderenza alla terapia da parte del paziente. “Malgrado l’esistenza di Linee Guida internazionali e nazionali per la prevenzione dell’ictus in presenza di fibrillazione atriale, la loro applicazione varia in modo sensibile nella pratica clinica – continua Maddalena Lettino – Secondo recenti indagini svolte in diversi Paesi europei la percentuale dei pazienti a rischio di ictus a cui viene prescritta una terapia anticoagulante adeguata è di circa il 54-61%. Questa scarsa applicazione delle Linee Guida da parte dei medici è, in molti casi, determinata dai timori suscitati dal rischio emorragico, in particolare negli anziani, più esposti a cadute accidentali e al sanguinamento intracranico”.

 

Tuttavia la letteratura scientifica dimostra che nei pazienti con fibrillazione atriale trattati con anticoagulanti il rischio emorragico è sicuramente superato dai vantaggi del trattamento.

 

E a proposito della gestione della terapia preventiva, un altro punto molto importante messo in luce nel documento presentato all’Unione Europea riguarda la necessità di aumentare la consapevolezza della patologia nei pazienti, attraverso un più ampio accesso alle informazioni. Educare e incoraggiare gli stessi ad assumere un ruolo più attivo nel processo di decisione, nella definizione degli obiettivi e nella valutazione degli esiti è, infatti, spesso associato a esiti clinici migliori.

 

Da un’indagine condotta dall’associazione pazienti AntiCoagulation Europe con lo scopo di fornire informazioni sulle esperienze dei pazienti relative al trattamento con antagonisti della vitamina K, emergeva una grave carenza di conoscenze circa le possibili interazioni dei farmaci anticoagulanti con diversi prodotti di automedicazione. Inoltre, un quarto degli intervistati non ricordava di aver ricevuto indicazioni sulla patologia al momento della diagnosi e oltre un terzo riteneva che il proprio medico avrebbe potuto fornire maggiori chiarimenti sulla terapia prescritta e sugli effetti che questa avrebbe avuto sullo stile di vita.

 

“Studi recenti realizzati con una metodologia rigorosa hanno dimostrato che il paziente ben informato e motivato assume con maggiore attenzione e disciplina le terapie e va incontro a meno eventi avversi rispetto a chi non ha ricevuto dal medico informazioni sufficienti o comprensibili – ribadisce la dottoressa Lidia Rota Vender, Presidente di ALT – Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari ONLUS – All’Università i medici italiani imparano a curare, non a prevenire, non sono formati per educare il paziente e non hanno il tempo, durante visite sempre più brevi e condizionate dai ritmi imposti dai criteri di efficienza degli ospedali, di fornire al paziente le informazioni basilari, espresse in un linguaggio comprensibile e assimilabile. Per questo – continua la dottoressa Rota Vender – è fondamentale il ruolo delle associazioni come ALT – Associazione per la lotta alla trombosi e alle malattie cardiovascolari, che attraverso le proprie pubblicazioni e il proprio sito www.trombosi.org suppliscono a queste carenze, fornendo al paziente informazioni che possono salvargli la vita. Il paziente lo sa, e sempre più spesso si rivolge alle associazioni per avere informazioni chiare e semplici che gli permettano di comprendere meglio la propria patologia e i rischi che essa comporta, ma anche e soprattutto di gestire in modo ottimale farmaci fondamentali e salvavita come gli anticoagulanti e gli antitrombotici in generale”.

 

Le raccomandazioni del Gruppo di Lavoro di esperti individuano un altro punto cruciale nella lotta alla fibrillazione atriale: la necessità di incrementare la ricerca sulle cause, la prevenzione e la gestione della malattia. Esigenza enfatizzata dalle prospettive di diffusione della stessa negli anni futuri se pensiamo che, secondo dati dell’Unione Europea, entro il 2050 in Europa il numero di persone di età superiore a 65 anni aumenterà del 70%.

 

Gli ambiti della ricerca che andrebbero sviluppati riguardano in particolare l’analisi sistematica dell’epidemiologia della fibrillazione atriale e la sua relazione con l’ictus, l’individuazione di pazienti a rischio e i nuovi approcci terapeutici.

 

Su quest’ultimo aspetto, quello che chiede la comunità medico scientifica è lo sviluppo di terapie efficaci, a dosi fisse, con un buon profilo di sicurezza, che non richiedano il monitoraggio di routine.

 

E la ricerca farmacologica si sta effettivamente muovendo in questa direzione. Negli ultimi anni sono state numerose le ricerche cliniche finalizzate a migliorare l’efficacia della terapia anticoagulante e la qualità di vita del paziente sottoposto a tale trattamento ed entro il prossimo anno sono attesi nuovi rimedi terapeutici più maneggevoli e sicuri in grado di venire incontro alle esigenze di medici e pazienti.

 

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