Rischio infarto: si riduce del 25% con attivita’ fisica regolare e attivita’ aerobica

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elettrocardio

Camminare velocemente, quasi correre, per il tempo di una breve playlist musicale. Non è il programma di allenamento di uno sportivo ma un’indicazione elaborata dai cardiologi riabilitativi per chi è stato colpito da infarto e affronti un percorso di recupero.

I risultati definitivi dello studio italiano ICAROS (the Italian survey on CArdiac Rehabilitation and Secondary prevention after cardiac revascularization) condotto su oltre 1440 pazienti hanno infatti mostrato che svolgere un’attività fisica riduce del 25 per cento la probabilità di un secondo evento cardiaco. I dati della ricerca sono stati discussi nel corso del congresso dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, a Firenze dall’11 al 14 maggio. “Per attività fisica in fase di riabilitazione – afferma Marino Scherillo, presidente ANMCO – si intende un impegno di 30 minuti per 4-5 volte alla settimana con un’intensità assimilabile a quella di chi è in ritardo per un appuntamento, un passo accelerato fino alla percezione della fatica.

L’esercizio fisico migliora la capacità aerobica, ha effetti positivi sulla capacità lavorativa e riduce il rischio di nuovi infarti perché diminuisce la frequenza cardiaca aumentando allo stesso tempo la forza del cuore; inoltre, riduce i grassi nel sangue, ha effetti antipertensivi ed è un ottimo antidepressivo. Non ci sono limiti di età per cominciare a muoversi di più, basta individuare i modi e i tempi giusti per ciascun paziente e seguire qualche precauzione nei soggetti più fragili. Inoltre, durante il percorso riabilitativo si aiuta anche il paziente ad astenersi dal fumo, a seguire un’alimentazione sana e ad assumere le terapie raccomandate. E in chi si attiene a tutte le componenti della riabilitazione i benefici quadruplicano”. Purtroppo la realtà è diversa: lo dimostrano i dati conclusivi raccolti dall’ANMCO per lo studio BLITZ4, condotto in 163 centri cardiologici su 11.706 pazienti con infarto, secondo cui molti pazienti migliorano un po’ il loro stile di vita, ma in maniera tuttora insufficiente. Il 75 per cento dei pazienti, ad esempio, dopo un infarto smette di fumare; tuttavia appena il 35 per cento cammina per 30 minuti tre volte alla settimana. Inoltre, il 25 per cento dei pazienti neanche dopo un evento simile si convince a mangiare frutta o verdura almeno una volta al giorno, solo il 45 per cento mangia pesce due volte alla settimana e il 75 per cento non lo consuma più di una volta ogni sette giorni. Di conseguenza, a sei mesi da un infarto appena un paziente su tre ha la pressione arteriosa e il colesterolo nella norma, solo il 45 per cento riesce a mantenere la glicemia sotto controllo. Tutto questo inevitabilmente mette a rischio i pazienti: non a caso il 70 per cento di chi ha avuto un infarto deve nuovamente essere ricoverato in ospedale entro un anno dall’evento. Molti casi potrebbero essere evitati grazie alla riabilitazione cardiovascolare: un programma seguito con scrupolo può infatti dimezzare i ricoveri per nuovi eventi cardiovascolari. Purtroppo nel nostro Paese il ricorso alla riabilitazione è tuttora insufficiente. “Secondo i dati del BLITZ 4, solo l’8% dei pazienti che dovrebbero rientrare in un percorso di riabilitazione, effettivamente vi viene indirizzato – dice Carmine Riccio, past president IACPR-GICR (Italian Association Cardiovascular Prevention and Rehabilitation – Gruppo Italiano Cardiologia Riabilitativa) – . I dati conclusivi dello studio ICAROS, ottenuti su oltre mille pazienti di età compresa fra i 35 e i 85 anni e per la maggioranza maschi, confermano queste basse percentuali di adesione alla riabilitazione cardiologica. Questo nonostante la riabilitazione non preveda necessariamente un percorso di degenza ospedaliera; può essere svolta in ambito ambulatoriale o in day hospital in una delle oltre 200 strutture italiane che la offrono”.(ANSA).

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