Ictus: nanovettori per curarlo, che rilasciano farmaci solo sui tessuti danneggiati

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L’uso di vettori di dimensioni nanoscopiche permette di superare l’ostacolo più arduo: rilasciare la giusta quantità di farmaco là dove serve


Utilizzare nanovettori in grado di rilasciare il farmaco solo nei tessuti in cui è utile: è questa la prospettiva nella nanomedicina. Questo tipo di metodica, ideata inizialmente per la cura dei tumori, potrebbe avere utili applicazioni anche in campo neurologico, come dimostrato da una nuova ricerca dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (In-Cnr) in collaborazione con l’Università di Firenze e lo University College di Londra.

In particolare, l’obiettivo è quello di trovare una terapia efficace per contrastare gli effetti dell’ictus.

“Durante l’ictus molti neuroni danneggiati attivano una serie di fattori biochimici che hanno come effetto finale la morte delle cellule nervose”, ha sottolineato Tommaso Pizzorusso, coordinatore dello studio, che viene descritto sull’ultimo numero dei Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). “A scatenare questo ‘suicidio cellulare’, è in particolare una proteina chiamata Caspasi 3, che può essere inibita efficacemente attraverso piccole molecole di RNA, chiamate silencing-RNA (siRNA), estremamente specifiche e quindi vantaggiose. Finora, però, uno dei principali limiti al loro impiego era dovuto alla difficoltà di farle arrivare all’interno delle cellule in quantità sufficiente per riparare il danno”.

Il risultato è stato ottenuto sui roditori grazie a due anni di ricerche proprio grazie alle nanotecnologie.

“Abbiamo legato le molecole di siRNA a tubi di carbonio di dimensioni nanometriche, dell’ordine di grandezza del milionesimo di millimetro, le abbiamo quindi iniettate nella zona di corteccia cerebrale lesionata, constatando che il nanovettore, una volta captato dai neuroni, è in grado di rilasciare al loro interno la giusta quantità di farmaco, riducendo la morte neuronale indotta dall’ictus”, ha continuato Pizzorusso. “Delle cellule trattate, circa la metà si sono salvate e anche l’insorgenza di deficit funzionali è stata notevolmente ridotta. Per la prima volta, quindi, è stato provato che i nanofarmaci possono produrre miglioramenti funzionali”.

Il risultato apre la strada a nuove ricerche sulla possibilità di trattare l’ictus nell’essere umano.

“Per il momento siamo ancora in una fase sperimentale e dovremo affrontare altri studi per capire quali siano le nanoparticelle che garantiscono la migliore biocompatibilità, a parità di capacità di rilascio di siRNA. Il risultato ottenuto è però un ottimo punto di partenza, una conferma che la nanomedicina in un futuro prossimo potrà essere applicata con successo anche per contrastare patologie cerebrali come l’ictus, di ampia diffusione, e finora praticamente priva di trattamenti efficaci”, ha concluso Pizzorusso”.

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