La longevità ereditata per via non genetica: la prima dimostrazione in assoluto
Si tratta della prima dimostrazione in assoluto del fatto che la longevità può essere ereditata per diverse generazioni, fino a tre, in modo non genetico
Lavorando sul nematode Caenorhabditis elegans, un gruppo di ricercatori della Stanford School of Medicine ha scoperto che se si blocca l’espressione di una qualsiasi di tre proteine chiave aumenta non solo la durata della vita dell’animale direttamente interessato, ma anche dei suoi discendenti, anche se in essi l’alterazione originale non è più presente. Si tratta della prima dimostrazione in assoluto del fatto che la longevità può essere ereditata per diverse generazioni in modo non genetico.
Lo studio che è giunto a questa conclusione – che è descritto in un articolo pubblicato sulla rivista Nature – si è basato su un lavoro precedente condotto dallo stesso gruppo di ricerca che aveva mostrato come alcune mutazioni epigenetiche possano aumentare, almeno nel nematode C. elegans, la durata della vita di ben il 30 per cento.
I processi epigenetici sono quelli attraverso cui gli organismi modulano l’espressione dei geni in risposta a stimoli ambientali, senza modificare la sequenza di base del proprio DNA. La cromatina – il complesso formato dal DNA e dalle proteine (istoni) che mantengono il materiale genetico ben “impacchettato” nel nucleo delle cellule – può essere modificata (alterando così il livello di espressione delle diverse proteine) in modo epigenetico con l’aggiunta o la rimozione di gruppi chimici sugli istoni o sul DNA stesso. Per quanto la maggior parte di queste modifiche della cromatina venga azzerata durante il processo di riproduzione e il passaggio da una generazione all’altra, questo studio suggerisce che questa riprogrammazione sia incompleta.
Anne Brunet, che ha diretto la ricerca, e colleghi si sono chiesti se il fenomeno della riprogrammazione incompleta interessasse anche la longevità e se l’effetto sulla durata della vita di questi regolatori della cromatina venisse trasmesso ai discendenti degli esemplari di C. elegans in cui erano stati alterati, anche se le mutazioni non erano più presenti.
Per questo hanno allevato i portatori delle mutazioni epigenetiche – che riguardavano l’espressione delle proteine ASH-2, WDR-5 e SET-2 – in modo tale che i discendenti non le possedessero più. Hanno così scoperto che gli esemplari di C. elegans che avevano livelli normali di espressione di queste tre proteine ma che discendevano da antenati con livelli opportunamente alterati, vivevano comunque più a lungo dei discendenti di esemplari non mutati.
Gli esemplari più longevi mostravano peraltro variazioni nell’espressione di alcune centinaia di altri geni, la cui attività era evidentemente collegata all’originaria espressione delle proteine ASH-2, WDR-5 e SET-2, dotate di funzione regolatrice. Questo singolare effetto, hanno rilevato i ricercatori, perdura peraltro al massimo per tre generazioni.
“Ancora non si conosce l’esatto meccanismo di questa memoria generazionale epigenetica”, ha detto la Brunet. “Ipotizziamo che quando la generazione dei genitori è priva di alcuni componenti chiave che normalmente regolano la cromatina, i segnali epigenetici non vengano completamente resettati da una generazione a quella successiva nella linea germinale, così da indurre cambiamenti ereditari nell’espressione genica.”