Novità in endocrinologia al Congresso Nazionale AME – Associazione Medici Endocrinologi

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ABSTRACT RELATORI

 

  1. Diabete
  • novità nella diagnosi e nella terapia: curare il diabete ora è più facile ?

Giorgio Borretta – Presidente AME e Direttore SC di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, ASO S. Croce e Carle, Cuneo

 

  1. Endocrinologia oncologica
  • la necessità di un approccio multispecialistico

Franco Grimaldi – Direttore della SOC di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine e Presidente del Comitato Organizzatore locale

 

 

  1. Disturbi del comportamento alimentare
  • come identificarli e cosa fare

Simonetta Marucci – Specialista in Endocrinologia presso il Servizio DCA di Todi.

 

 

  1. Gravidanza e malattie della tiroide
  • stiamo facendo abbastanza?

Roberto Negro – U.O Endocrinologia P.O. “V. Fazzi” di Lecce

 

 

  1. Incidenti Nucleari
  • quali rischi per le ghiandole endocrine?

Piernicola Garofalo – Presidente AME ONLUS e Responsabile dell’Unità Operativa di Endocrinologia dell’Età Evolutiva presso l’Azienda Ospedaliera “Vincenzo Cervelli” di Palermo

 

 

  1. Alcool e ghiandole endocrine
  • un danno troppo spesso trascurato ?

Roberto Castello  – Primario di Medicina Generale e Endocrinologia presso l’A.O.U. integrata di Verona

 

 

  1. Iperparatiroidismo primitivo ed osteoporosi
  • uno statement per gestire un problema emergente

Michele Zini –  Unità Operativa di Endocrinologia – Arcispedale “S. Maria Nuova”, Reggio Emilia

 

  1. Gestione dell’ipertiroidismo
  • stiamo utilizzando appropriatamente tutti i mezzi terapeutici disponibili ?

Andrea Frasoldati – Unità Operativa di Endocrinologia, Arcispedale S. Maria Nuova  di Reggio Emilia

 

 

  1. Diabete
  • novità nella diagnosi e nella terapia: curare il diabete ora è più facile ?

Giorgio Borretta – Presidente AME e Direttore SC di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, ASO S. Croce e Carle, Cuneo

 

In epoca recente  abbiamo assistito a un tumultuoso incremento di novità nel campo della diagnosi e della terapia del diabete mellito. Le più importanti Società scientifiche nazionali e internazionali hanno così dovuto aggiornare in rapida sequenza le Linee guida per la gestione clinica della malattia, contemplando nuovi criteri di diagnosi e soprattutto nuovi tipi di trattamento. La possibilità di diagnosi della malattia con test più semplici e in fase più precoce così come la disponibilità di nuovi farmaci, soprattutto per la cura del diabete tipo 2, hanno profondamente modificato i comportamenti clinici e i risultati terapeutici. Resta il fatto però che la prevalenza del diabete è in continua crescita e senza un intervento deciso in ambito di prevenzione, primaria e secondaria, i sistemi sanitari non potranno reggere l’impatto.

In occasione del congresso nazionale AME di Udine, le innovazioni più importanti verranno illustrate e discusse da esperti con il contributo qualificato di tutte le più importanti società scientifiche nazionali, in particolare AMD e SID.

 

 

  1. Endocrinologia oncologica
  • la necessità di un approccio multispecialistico

Franco Grimaldi – Direttore della SOC di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine e Presidente del Comitato Organizzatore locale

 

L’Endocrinologia Oncologica è una disciplina medica che studia i tumori che si sviluppano dal sistema endocrino in senso lato e che, negli ultimi vent’anni, ha conseguito importanti  sviluppi sia nella diagnosi precoce che nella terapia medica e chirurgica: per tali evoluzioni fondamentale è stata la ricerca integrata tra Endocrinologia ed Oncologia associata al il ruolo di altre discipline.  Notevoli progressi sono stati raggiunti in campo endocrinologico ed oncologico sia nella ricerca di base che in quella clinica, in modo particolare per quanto attiene l’utilizzo di nuovi strumenti che consentono l’individuazione di tali tumori.

 

Nella pratica clinica endocrinologica la patologia neoplastica maligna più frequente è rappresentata dai carcinomi tiroidei. La gestione dei pazienti con questa patologia trova nell’endocrinologo la figura di riferimento clinico e quella che ha la responsabilità della gestione del paziente durante tutte le fasi del percorso diagnostico, terapeutico e di follow-up (percorso che spesso richiede anche un supporto psicologico). Questo percorso  coinvolge anche altri specialisti che hanno un ruolo importante sia nella fase diagnostica (radiologo, in casi particolari il medico nucleare, genetista per le forme familiari di un tipo di carcinoma tiroideo, il carcinoma midollare), sia in quella terapeutica (chirurgo esperto in chirurgia della tiroide, medico nucleare e radioterapista per la  terapia radiometabolica da effettuarsi dopo la terapia chirurgica nei pazienti con carcinomi differenziati della tiroide con elevato rischio di recidiva, o  con malattia metastatica, radiologo interventista per terapie loco-regionali qualora non sia possibile l’intervento chirurgico).

Per i pazienti che hanno una malattia avanzata o metastatica, che non risponde alla terapia radiometabolica, o per i carcinomi con istotipo più aggressivo, si rende necessario l’intervento dell’oncologo: la chemioterapia ha scarsa efficacia per questi tumori, mentre sono in fase avanzata di applicazione clinica terapie che possono indurre una regressione parziale della malattia e/o una stabilizzazione della stessa.

E’ di fondamentale importanza che le varie figure specialistiche lavorino in team per tracciare il percorso più corretto dell’iter diagnostico,  terapeutico  e di follow-up per i nostri  pazienti.

 

 

  1. Disturbi del comportamento alimentare
  • come identificarli e cosa fare

Simonetta Marucci – Specialista in Endocrinologia presso il Servizio DCA di Todi.

 

I Disturbi del Comportamento Alimentare rappresentano, oggi, una patologia in crescita esponenziale, tanto da costituire una vera e propria epidemia sociale. Si calcola che siano circa due milioni i ragazzi che, solo in Italia, soffrano di disturbi della alimentazione e che nel mondo, in prevalenza quello Occidentale, si ammalino decine di milioni di giovani ogni anno, con un rapporto di 9:1 tra femmine e maschi, sebbene la incidenza nel sesso maschile stia progressivamente aumentando.

Il fenomeno della espansione e dell’aumento esponenziale dei DCA, va interpretato in rapporto con la cultura occidentale, nella quale essi prevalgono decisamente, e con i modelli che essa propone quali l’enfasi per l’immagine corporea, il culto della magrezza, che giocano grande influenza soprattutto nella definizione della identità femminile

Nonostante ciò, non possiamo affermare che la cultura occidentale sia la causa patogenetica della diffusione dei DCA: non si diventa Anoressiche perché si è assistito alla sfilata di moda o perché da piccole si è giocato con le Barbie!   Questi elementi si definiscono “patoplastici”, possono contribuire, cioè, a suggerire la forma da dare al sintomo, laddove esista però un disagio profondo che esiga una risposta adattativa.    A conferma di ciò, i dati epidemiologici ci confermano che, a fronte dell’aumento dei DCA, si ha una riduzione dei casi di Depressione o Tossicodipendenza nelle stesse fasce di età, come se il Disturbo Alimentare, oggi, si prestasse meglio a rappresentare ed esprimere un malessere che, in altre epoche ed in altri contesti, poteva trovare compenso in altri tipi di manifestazione patologica.

I DCA sono patologie gravi, con conseguenze spesso irreversibili per l’organismo, e con una alta percentuale di mortalità, sia per le complicanze della malnutrizione, sia per un alto tasso di suicidi.  La complessità e multifattorialità dei Disturbi Alimentari, e le loro implicazioni sociali e culturali, deve stimolare i clinici a valutare, oltre alle componenti biologiche della patologia, anche tutti gli elementi legati al contesto che influiscono non solo sulla insorgenza della malattia, ma anche sul suo mantenimento.

In questo convegno si sottolineeranno, accanto agli elementi psicopatologici, anche quelli clinici legati al danno organico, con particolare riferimento alle alterazioni endocrino-metaboliche, tra le quali le più diffuse riguardano l’apparato riproduttivo e la fertilità e che, spesso, passano in secondo piano davanti alla gravità della componente psichica ma che, se trascurati, influenzano in modo decisivo l’evoluzione della malattia.

 

 

  1. Gravidanza e malattie della tiroide
  • stiamo facendo abbastanza?

Roberto Negro – U.O Endocrinologia P.O. “V. Fazzi” di Lecce

 

Le malattie della tiroide sono particolarmente frequenti nel sesso femminile. In età fertile, esse raggiungono una prevalenza di circa il 10%. Negli ultimi dieci anni numerosi studi hanno evidenziato il ruolo centrale che la tiroide esercita sulla fertilità e sul decorso della gravidanza e la necessità di mantenere una normale funzione tiroidea, prime e durante il corso della gravidanza stessa. Sempre maggiore poi è il numero delle pazienti che  si sottopongono per infertilità a tecniche di fecondazione assistita. La terapia che viene utilizzata per la stimolazione ovarica esercita un impatto negativo sul funzionamento della tiroide, in particolare nelle pazienti che sono ipotiroidee e in quelle portatrici di tiroidite cronica autoimmune. Considerata la stretta relazione fra tiroide, tecniche di fecondazione assistita e gravidanza, si sottolinea l’importanza di un monitoraggio della funzione tiroidea, anche e soprattutto  nelle pazienti che si sottopongono a fecondazione assistita, al fine di evitare che una disfunzione misconosciuta possa avere un impatto negativo sull’esito della fecondazione.

 

 

  1. Incidenti Nucleari
  • quali rischi per le ghiandole endocrine?

Piernicola Garofalo – Presidente AME ONLUS e Responsabile dell’Unità Operativa di Endocrinologia dell’Età Evolutiva presso l’Azienda Ospedaliera “Vincenzo Cervelli” di Palermo

 

L’unica ghiandola endocrina che corre il rischio di ammalarsi in seguito alla contaminazione da sostanze radioattive è la tiroide. Prendiamo come esempio quanto accaduto nello scorso  mese di marzo alla centrale nucleare nella città giapponese di Fukushima: tra le sostanze radioattive disperse nell’ambiente in seguito al danno del reattore nipponico, c’è lo iodio-131. Lo iodio si accumula nella tiroide e vi rimane per alcuni giorni. La tiroide, però, non è in grado di distinguere lo iodio radioattivo (131I) dallo iodio normale, non radioattivo. In presenza di elevate concentrazioni di 131I nei liquidi o nei cibi, questo si accumula nella tiroide e irradia le cellule di questa ghiandola. L’irraggiamento della tiroide da parte dello 131I, non necessariamente esita in un danno clinicamente rilevante. Lo 131I viene impiegato normalmente in diagnostica per lo studio della funzione tiroidea e non provoca alcun danno alle bassi dosi somministrate. Il nostro organismo, infatti, è dotato da sempre di sistemi per la riparazione dei danni indotti da basse dosi di radiazioni, a cui siamo costantemente esposti per la presenza di elementi radioattivi nel terreno e attraverso l’atmosfera con le radiazioni cosmiche.

Quando i danni prodotti dalle radiazioni eccedono la capacità riparatrice dell’organismo, possono tradursi in un danno clinicamente rilevante. La possibilità che questo avvenga aumenta con l’aumentare della dose di radiazioni a cui è esposta la tiroide. Per livelli di radiazioni elevati (superiori a 100 mSv nell’adulto) la probabilità di ammalarsi di tumore della tiroide aumenta in modo significativo. L’esperienza di Chernobyl ci ha insegnato che i tumori della tiroide indotti dalle radiazioni compaiono dopo circa 10-20 anni.  E’ necessaria, pertanto, anche se limitata alle sole zone esposte alla sorgente radioattiva, la sorveglianza medica per tutta la vita dei soggetti eventualmente contaminati.

In caso di radiazioni, le categorie maggiormente a rischio sono le donne in gravidanza e i bambini di età inferiore ai 10 anni. Per quanto riguarda le donne in stato di gravidanza, il vero rischio è a carico del feto, particolarmente sensibile agli effetti nocivi delle radiazioni.

Nel primo trimestre di gravidanza, durante la formazione degli organi nel prodotto del concepimento, possono verificarsi malformazioni a vari organi e apparati. A partire dal secondo trimestre, quando la tiroide è già formata e funzionante, lo iodio radioattivo eventualmente assorbito dalla madre si accumula anche nella tiroide del feto. Questo può ridurre la capacità della tiroide di produrre ormoni e determinare un quadro di ipotiroidismo congenito. Un’altra categoria a rischio aumentato sono i pazienti affetti da insufficienze renale in terapia con dialisi, a causa di una ridotta capacità di eliminare le sostanze radioattive contaminanti e di una maggiore sensibilità alle radiazioni.

 

Nelle persone che si trovano nelle immediate vicinanze di materiale radioattivo che emette radiazioni con elevata intensità, i danni maggiori e più precoci sono al midollo osseo e all’intestino con conseguente suscettibilità alle infezioni, possibili emorragie e malassorbimento del cibo.
Per la popolazione che vive nelle zone limitrofe, o che mangia alimenti contaminati provenienti dalle zone a rischio, il pericolo deriva dalla possibile ingestione con il cibo o inalazione dall’aria di sostanze disperse in seguito all’incidente.
Le sostanze rilasciate in seguito all’incidente di Fukushima sono, oltre allo 131I, lo Stronzio-90, assorbito dall’osso, che può causare tumori ossei e leucemia; il Cesio-137 che si accumula con preferenza nei muscoli; il Plutonio che è tossico soprattutto se viene inalato e può causare tumori del polmone.
Per arginare un’eventuale esposizione a sostanze radioattive,  la somministrazione di un eccesso di iodio non radioattivo, sotto forma di ioduro di potassio (KI) può ridurre, fino a bloccare, l’accumulo dello iodio radioattivo all’interno della tiroide.

 

 

  1. Alcool e ghiandole endocrine
  • un danno troppo spesso trascurato ?

Roberto Castello  – Primario di Medicina Generale e Endocrinologia presso l’A.O.U. integrata di Verona

Risalire precisamente alla data di nascita del vino è praticamente impossibile in quanto la sua storia ha inizio in tempi che non hanno lasciato dietro di loro documenti o tracce sicure e valide. Dalla sua nascita fino alla fine del settecento, il vino aveva simboleggiato, soprattutto nell’epoca dei grandi imperi, oltre al classico dono offerto alle divinità, un efficace mezzo per elevarsi nella società. Con l’avvento del nuovo secolo, quest’immagine del vino viene completamente stravolta: esso si trasforma in un mezzo per sviluppare le capacità comunicative, superare i propri limiti e, spesso, chiudersi in un mondo “alternativo”. L’alcool è la sostanza ricreativa ma anche d’abuso più diffusa al mondo. Oggi ci sono ormai noti più gli effetti collaterali dell’uso e dell’abuso di alcool, anziché gli effetti benefici. L’alcool ha un effetto bifasico: a basse dosi presenta risposte euforizzanti ed energizzanti dovute all’attivazione del sistema monoaminergico, mentre a dosi maggiori si manifesta una fase ansiolitica, sedativa e di inibizione che può essere attribuita ad una azione inibitoria sui recettori degli aminoacidi eccitatori e ad un incremento della azione GABAergica. La somministrazione di alcool in soggetti normali ed alcolisti riduce o blocca la secrezione  del GH. L’etanolo é stato dimostrato capace di aumentare l’uptake di iodio da parte della tiroide. mentre si conferma l’azione soppressiva dell’alcool sui picchi di TSH, in particolare sul rialzo notturno dell’ormone. L’alcool aumenta la secrezione basale di insulina ed aumenta le risposte di insulina alla assunzione del glucosio. Da tempo la comunità scientifica tenta di far luce sulle ripercussioni di particolari stili di vita su aspetti vitali quali la fertilità e la sessualità. Il cosiddetto “fattore ambientale” è ad oggi un elemento centrale nella fisiopatologia delle disfunzioni gonadiche ( ovaie e testicoli): sia la produzione di gameti  che la sintesi ormonale sembrano risentire in maniera estremamente sensibile del contatto con il crescente elenco di sostanze gonadotossiche, come ad esempio, nel caso dell’alcool da abuso voluttuario. Un consumo alcolico moderato sembrerebbe svolgere un ruolo “protettivo” generale, almeno parzialmente riconducibile alle sostanze anti-ossidanti ( tannini, soprattutto presenti nel vino rosso), l’abuso di alcool si caratterizza in particolare per la comparsa di una serie di alterazioni progressive a carico dell’intero asse riproduttivo, non sempre reversibili. Nelle donne l’abuso di alcool riduce le possibilità di concepimento, negli uomini determina il peggioramento di alcuni parametri seminali ed il declino dei livelli circolanti del testosterone. L’elevato consumo alcolico da parte di donne in gravidanza sembra associarsi a malformazioni neonatali, quali criptorchidismo ed ipospadia, ed a problemi di fertilità futura del nascituro. L’abuso di alcool si correla con l’insorgenza di stati depressivi e un con calo delle performances cerebrali, comporta un aumento del rischio di eventi avversi cardiocircolatori ed in ultima analisi contribuisce alla comparsa di disturbi del desiderio sessuale e di disfunzione erettile.  Il metabolismo dei fattori di ossido-riduzione e della vitamina A, alterato dall’alcool, sarebbe capace di spiegare il danno della spermatogenesi e della biosintesi del testosterone indotti dalla esposizione all’etanolo. L’ipofunzionalità gonadica é stata descritta anche in donne alcoliste in associazione con alterazioni del ciclo mestruale ed infertilità. La funzionalità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene ( ghiandola che secerne il cortisolo) è spesso alterata da alcolismo cronico, che mimano quadri di vero e proprio ipercortisolismo, definiti pseudo-Cushing. Il riconoscimento di queste condizioni è estremamente importante, in quanto sono cause di patologie rimuovibili e quindi completamente reversibili. La prevalenza di questa condizione clinica nei soggetti etilisti è difficile da stimare, sia per l’eterogeneità di diagnosi e modalità di dosaggio ormonale,  sia perché la durata della dipendenza alcolica e del periodo di astinenza influenzano l’attività dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Va inoltre sottolineato che quadri di depressione e malnutrizione, spesso complicanze associate all’abuso alcolico, stimolano anch’essi l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Secondo diversi studi la prevalenza è stimata essere inferiore al 5%. Sembrerebbe esserci un rapporto tra dose di alcol assunta e effetti sul surrene: l’assunzione di alcol avrebbe un effetto significativo una volta raggiunta un’alcolemia di 30-50 mg/dL nei soggetti normali e di 50-150 mg/dL  negli alcoli.

 

  1. Iperparatiroidismo primitivo ed osteoporosi
  • uno statement per gestire un problema emergente

Michele Zini –  Unità Operativa di Endocrinologia – Arcispedale “S. Maria Nuova”, Reggio Emilia

CONSENSUS IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO

Le malattie della ghiandole paratiroidi sono una causa molto importante di osteoporosi. I pazienti con queste patologie frequentemente vanno incontro a fratture vertebrali, di polso, di femore, e di altri distretti ossei. Oltre a ciò, l’iperparatiroidismo può provocare ipertensione, calcoli renali, aumento del rischio cardiovascolare, sintomi psichiatrici.

Il riconoscimento delle malattie delle paratiroidi non è difficile, almeno nelle prime fasi. I dati di laboratorio rilevano un aumento dei livelli calcio e ormone paratiroideo nel sangue. Ciò è nella massima parte dei casi dovuto alla presenza di un adenoma (tumore benigno) delle paratiroidi. L’adenoma deve essere localizzato con le metodiche di immagine (soprattutto scintigrafia ed ecografia). L’adenoma viene curato con la asportazione chirurgica, e in questo modo il rischio di frattura ossea viene di molto ridotto, così come viene ridotta la formazione dei calcoli renali . Nei casi in cui la asportazione chirurgica non è possibile o non ha successo, è possibile utilizzare farmaci per la protezione dell’osso (soprattutto alendronato) e per il controllo dell’aumento del calcio (cinacalcet).

La gestione delle patologie delle paratiroidi richiede attenta valutazione clinica di tutti gli aspetti clinici del paziente. Per questa ragione la AME ha prodotto un documento di consenso che possa aiutare gli endocrinologi clinici ad affrontare la malattia e a risolverla per il meglio. Il documento, prodotto da un gruppo di lavoro di 12 specialisti del settore, sarà presentato per la prima volta al Congresso AME di Udine.

 

 

OSTEOPOROSI

La osteoporosi è una malattia dello scheletro che porta all’indebolimento delle ossa con conseguente aumento del rischio di frattura.

La osteoporosi non riguarda solo le donne dopo la menopausa, e oggi si sta sviluppando interesse anche per il maschio, per l’epoca pre-menopausale, per l’adolescente e anche per l’età pediatrica.

Occuparsi di osteoporosi significa anche occuparsi di prevenzione, e su questo esiste una buona collaborazione fra lo specialista e il Medico di Medicina Generale, il cui ruolo è anche in questo caso centrale.

La densitometria ossea (la MOC) è un esame di basso costo, non invasivo, e molto utile per l’inquadramento clinico della osteoporosi, e per queste il ricorso a questo esame dovrebbe essere ampio.

Sono oggi disponibili numerosi farmaci, appartenenti a diverse classi farmacologiche, per la cura della osteoporosi.

I farmaci più diffusi sono i bisfosfonati, che favoriscono l’aumento della densità ossea. Possono essere somministrati per via orale con frequenza quotidiana, settimanale (la modalità più diffusa), bimensile o mensile. Il numero di pazienti in terapia con bisfosfonati è molto alto, e una terapia ben condotta con bisfosfonati è in grado di ridurre della metà il rischio di avere una frattura. Esistono bisfosfonati somministrabili per via endovenosa anche solo una volta all’anno, ma il loro uso al momento è ancora limitato. Sono disponibili i farmaci SERM, che recentemente hanno avuto un rilancio.

Il denosumab, un anticorpo monoclonale a potente effetto sul consolidamento osseo, ha superato la fase sperimentale e da pochi mesi è entrato in commercio. Il farmaco viene somministrato per via sottocutanea ogni 6 mesi ed è accreditato di un valido effetto anti frattura.

Lo specialista endocrinologo, in accordo con altri specialisti, ha il compito di diagnosticare la osteoporosi, valutare il paziente, scegliere il farmaco giusto, e monitorare gli effetti della terapia.

 

 

  1. Gestione dell’ipertiroidismo
  • stiamo utilizzando appropriatamente tutti i mezzi terapeutici disponibili ?

Andrea Frasoldati – Unità Operativa di Endocrinologia – Arcispedale “S. Maria Nuova”, Reggio Emilia

L’ipertiroidismo costituisce una della malattie con cui lo specialista endocrinologo si confronta con maggiore frequenza. Per il trattamento di tale patologia è disponibile più di una opzione terapeutica: i farmaci tireostatici, l’intervento chirurgico, il trattamento con radioiodio. Tutte queste opzioni terapeutiche si caratterizzano per alcuni vantaggi e al tempo stesso per possibili limitazioni. E’ pertanto indispensabile che lo specialista conosca con precisione in quale paziente e in quale momento sia preferibile servirsi dell’uno o dell’altro strumento di cura. Il convegno di Udine sarà l’occasione per presentare un documento congiunto redatto da specialisti della nostra associazione e dell’AIT (associazione italiana della Tiroide) alla luce delle principali evidenze acquisite negli ultimi anni, con l’obiettivo di fissare alcuni punti fermi nella gestione del paziente affetto da malattia di Graves, la causa più frequente di ipertiroidismo.

 

 

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