Evoluzione del cervello umano: il ruolo cruciale dei “nuovi” geni
Sessanta geni, molti dei quali attivi nella corteccia cerebrale, hanno avuto origine da tratti quiescenti di DNA dopo la separazione filogenetica degli esseri umani dagli scimpanzé, avvenuta più di cinque milioni di anni fa di Charles Q. Choi.
Ma quanti sono? Più di quanto ritenuto finora.
La fonte più copiosa di nuovi geni negli animali, nelle piante, nei funghi e in altre forme di vita le cui cellule sono dotate di nucleo, coinvolgono il rimescolamento o la duplicazione di frammenti di DNA che provengono da geni già esistenti. Finora, era opinione diffusa che l’evoluzione de novo di geni fosse assai rara, poiché le proteine per cui codificano sono spesso grandi e complesse, e la maggior parte di esse non riesce a funzionare correttamente se una singola componente chiave è fuori posto: perciò l’evoluzione casuale di un gene funzionante sembrava improbabile.
Tuttavia, quando un gruppo internazionale di ricercatori ha condotto un’analisi del genoma umano alla ricerca di geni de novo, ne ha scoperti ben 60: tre volte di più di quanto stimato in precedenza. Inoltre, e ancora più sorprendente, molti di questi geni sono attivi nella corteccia cerebrale, il che fa ipotizzare che i geni de novo possano rivestire un ruolo cruciale nell’evoluzione del cervello umano.
“La corteccia cerebrale ha un ruolo chiave nell’apprendimento, nella memoria, nel linguaggio, nel pensiero, nell’emozione nell’attenzione percettiva e nella coscienza” ha spiegato Dong-Dong Wu, genetista del Kunming Institute of Zoology dell’Accademia delle scienze cinese, coautore
Negli ultimi cinque anni, varie ricerche avevano suggerito che l’evoluzione recente dei geni non è impossibile. I geni de novo sono stati scoperti per la prima volta nei moscerini della frutta, e da allora sono stati osservati nei lieviti, nel riso, nei topi e nei primati, e la prima osservazione nell’uomo è del 2009.
Per trovare geni umani de novo, Wu e il suo gruppo hanno cominciato con i geni umani noti e hanno eliminato quelli che somigliano a geni presenti in altre linee filogenetiche di primati. Poi sono stati esclusi i geni che si ritrovano anche nei primati non umani, ma sono spenti. I risultanti 60 geni de novo sono corti e relativamente semplici; inoltre, sono attivi in diversi tessuti: adiposo, polmonare, intestinale, epatico, muscolare, del seno e dei linfonodi. Il massimo dell’attività, tuttavia, è stato osservato nella corteccia cerebrale.
D’altra parte, tutti i geni de novo osservati nei tessuti analizzati sono risultati attivi solo a livelli relativamente bassi, “per cui, si potrebbe concludere che rivestono solo ruoli biologici secondari”, sottolinea Wu. Non è chiaro quali funzioni possano avere: per esempio, i ricercatori non hanno ancora collegato le mutazioni di questi geni a una qualunque patologia nota.
Identificare il ruolo dei geni de novo probabilmente non sarà cosa facile. Manipolare questi geni in cellule in coltura potrebbe far luce sulla loro attività, ma gli effetti potrebbero essere lievi e forse osservabili solo alle scale più grandi di tessuti e organi.
I ricercatori, ovviamente, non possono condurre esperimenti su persone, e potrebbe rivelarsi impossibile effettuare analisi su animali da laboratorio in cui sono stati introdotti questi geni umani. Tuttavia, suggerisce McLysaght, poiché per funzionare correttamente, i geni de novo potrebbero aver bisogno di interagire con altri geni, si potrebbe cercare di identificare questi ultimi, e così risalire alle funzioni dei geni de novo.
(La versione originale di questo articolo è stata pubblicata suwww.scientificamerican.com il 18 novembre 2011)